La pandemia rischia di far saltare anche i negoziati post Brexit, ma né il Regno Unito né l’Unione europea hanno il coraggio di fare la prima mossa. Al n.10 di Downing Street Boris Johnson ci è arrivato dopo aver promesso di smaltire in fretta la separazione ed evitare qualsiasi rinvio. Ma ai tempi del coronavirus anche le scadenze politiche possono cambiare dall’indicativo al condizionale.
Il Regno Unito ha lasciato l’Unione Europea lo scorso 31 gennaio, alla mezzanotte di Bruxelles. Ma il divorzio non s’è compiuto quella notte: sono ancora in corso i negoziati per determinare le future relazioni commerciali con l’Unione europea a cominciare dai requisiti per accedere al mercato unico. In teoria Bruxelles e Londra hanno altri otto mesi per negoziare. Fino al 31 dicembre, l’uscita è congelata; oltremanica valgono le vecchie regole europee, anche in termini di immigrazione. Nelle ultime settimane le due parti avevano sospeso gli incontri bilaterali di fronte all’emergenza Covid-19.
Il Withdrawal Agreement firmato da Johnson prevede la possibilità di dilatare la transizione per un periodo di uno o due anni, purché su richiesta britannica ed entro il 30 giugno 2020. Mancano 71 giorni. Anche per questo i negoziati sono ripartiti formalmente il 15 aprile i negoziatori Michel Barnier (per l’Ue) e David Frost (per Londra) hanno fissato tre cicli di videoconferenze, ciascuno da una settimana: 20 aprile, 11 maggio, primo giugno. L’ultima finestra cadrebbe in tempo per la proroga.
🇪🇺🇬🇧 Good to speak with @DavidGHFrost today to organise next week’s negotiating round, via videoconference.
We need real, tangible progress in the negotiations by June. We must advance across all areas.https://t.co/FGN5ko7JcH pic.twitter.com/zXBMpF1L6c
— Michel Barnier (@MichelBarnier) April 15, 2020
Nell’ultima dichiarazione congiunta, le controparti sottoscrivono l’impegno a «raggiungere reali e tangibili progressi entro giugno». Dovranno recuperare un ritardo di circa un mese, se si considera che il secondo round, al via oggi, 20 aprile, era inizialmente previsto per il 18 marzo. La lista delle materie da affrontare, e sulle quali convergere, è fitta: dal trasporto aereo alla pesca, dalla concorrenza leale alla cooperazione giudiziaria. Tutti dossier sui quali a inizio febbraio, che pare un’era geologica fa, erano già cominciate le frizioni.
I negoziatori della Commissione hanno riferito ad alcuni eurodeputati che i britannici continuano a voler riaprire capitoli finora considerati chiusi. Come le indicazioni geografiche e la protezione per gli alimenti di alta qualità, compresi i prodotti italiani. Una mossa fatta da Londra per avere mano libera nel negoziato per stipulare gli accordi commerciali con gli Stati Uniti. Barnier e il suo team hanno ribadito che sarà impossibile riaprire capitoli già chiusi.
Il The Telegraph, quotidiano conservatore vicino al governo inglese ha evocato una «flextension»: uno scenario dove l’interregno si protrae fino al lieto fine, con l’Inghilterra che continuerebbe a contribuire al bilancio europeo (9 miliardi di sterline all’anno, eventualmente da calcolare mese su mese) fino alla separazione consensuale.
Frost ha smentito questo scenario: «Un’estensione prolungherebbe solo i negoziati, creando ancora più incertezza. Non chiederemo di estenderlo. Se l’UE chiederà, diremo di no». Un bluff per tranquillizzare il Paese travolto dalla pandemia? Secondo alcuni commentatori, fra i quali lo Spectator filo-conservatore, il governo sarebbe a un bivio: rifiutare la proroga minerebbe i rapporti di buon vicinato auspicati per il dopo-Brexit, mentre sarebbe più facile farla digerire all’opinione pubblica se la proposta venisse da Bruxelles.
As we prepare for the next Rounds of negotiations, I want to reiterate the Government's position on the transition period created following our withdrawal from the EU.
Transition ends on 31 December this year.
We will not ask to extend it. If the EU asks we will say no. 1/2
— David Frost (@DavidGHFrost) April 16, 2020
Altri invece sostengono che nulla fermerà Johnson: «La crisi economica provocata dal virus sarà molto più grave di quella scatenata dalla Brexit e, dal punto di vista adottato dai ministri di governo, per quanto cinico esso possa apparire, le privazioni di oggi prepareranno i cittadini a quelle inevitabili dopo l’uscita dal mercato comune» ha detto all’Agensir Mark Stuart, professore di Politica e relazioni internazionali all’Università di Nottingham.
«La decisione spetta a loro, non sarebbe in ogni caso la Commissione europea a poter chiedere una proroga» ha risposto il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, in una intervista a France 24 chiarendo però che «sarà molto difficile avere un accordo da qui a fine anno. Ma faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità per arrivarci».