Romanzo felinoLasciate stare i gatti, dovrebbero essere loro a temere il nostro contagio

Ad Anzio le autorità sanitarie della Regione Lazio starebbero indagando il caso di un micio che avrebbe infettato il padrone e i vicini di casa. Ma secondo l’Iss non esiste alcuna evidenza che siano loro a diffondere il coronavirus

Hussein FALEH / AFP

Noi e i gatti. In tempo di epidemie. In una possibile futura fenomenologia della psicosi, anzi, delle psicosi suggerite dalla pandemia da Covid-19 bisognerà inquadrare anche la notizia che mostri il gatto domestico come eventuale, sebbene improbabile, veicolo di contagio. Veri o improbabili che siano, i fatti in questione ci giungono da Anzio, mare di Roma, la cittadina di Angelita, la “bambina dello sbarco” cui i Los Marcellos Ferial fecero dono di una canzone leggendaria, al punto che il Comune pose una statua a sua perenne memoria, Angelita accompagnata da un volo di gabbiani.

I gatti, così sappiamo, sono ritenuti creature “magiche”, e ancora, con orgoglio che muove dall’affetto sincero, tutti noi, talvolta, parlandone con i vicini ci esprimiamo così confermando: «Certo, anche noi abbiamo il gatto». A dirla tutta, si tratta di un errore espressivo clamoroso. In realtà, sono esattamente i gatti a possedere noi, i presunti padroni. Personalmente, tra le battute personali ricorrenti riferite ai “miei” gatti, Kim e Zuma, c’è quella che li indica come intestatari di ogni mio bene materiale, così, «nel peggiore dei casi, saranno loro a finire in carcere», aggiungo.

Resta che i felini domestici, poco importa se semplici europei o piuttosto siamesi, orientali o british shorthair, hanno sviluppato una strategia atta alla loro progressiva accettazione altrimenti inimmaginabile, soprattutto se inizialmente piccoli randagi provenienti dalla strada. Essi sono pazienti e ancora metodici, in assenza di queste qualità non avrebbero occupato le nostre case in modo sistematico, non soltanto Roma, la loro città per definizione perfino disneyana, o piuttosto l’Atene del quartiere citato da Francesco De Gregori in una canzone stupenda dedicata alla sua compagna Chicca, “Falso movimento”: «Come un gatto della Plaka sono qui a aspettare, io che mi lecco i baffi tu che continui a mangiare, come sono contento, fuori si sente il mare…»

Sinceramente parlando, non c’è bisogno di fare riferimento alla letteratura per spiegare la mitologia che tali creature riassumono: i gatti di Hemingway, i gatti di Elsa Morante, i gatti di Georges Perec, il gatto di Louis-Ferdinand Céline, da questi reso personaggio romanzesco, Bébert, felino diventato eroe letterario. Per non dire del gatto Felix o, restando alle bande disegnate, di Simon’s Cat.

Quanto invece al topo, nonostante il caso assoluto di Mickey Mouse (Topolino per ragioni autarchiche da noi), finora è gli è stata riservata una maschera ambigua e sinistra, indicato come veicolo di epidemie, e qui non c’è neppure bisogno di citare Albert Camus e il suo romanzo “La peste”. Adesso voi direte che c’è topo e topo, c’è ratto e pantegana, c’è topo da fogna e innocente cavia. Tutto vero e giusto, eppure al topo, diversamente dal dirimpettaio-antagonista felino, non è stato risparmiato nessun insulto, sebbene a Disneyland il pupazzo, appunto, di Mickey Mouse sia l’unico per il quale occorre pagare qualora volessimo una foto a lui abbracciati in una stanza riservata colma di luce.

Ora la notizia: Mauro Evangelisti, sul “Messaggero”, racconta infatti che ad Anzio, in provincia di Roma, le autorità sanitarie della Regione Lazio starebbero indagando un uomo che abitava solo risultato positivo a Covid-19. A causa delle sue condizioni, è stato ricoverato, ma prima di andare in ospedale ha chiesto a una coppia di vicini di curarsi del proprio micio rimasto solo. Sembra che, dopo pochi giorni, anche i due dirimpettai siano risultati positivi al tampone.

«Ora si sta svolgendo, come si fa in casi come questi, una meticolosa indagine epidemiologica. Si vuole comprendere se il contagio sia avvenuto per canali indipendenti, se al contrario ci sia stato un contatto con l’uomo che per primo si è infettato, se il coronavirus sia rimasto sulle superfici dell’appartamento. Ma si stanno anche studiando le condizioni del gatto, perché vi sono già stati casi di animali domestici contagiati». L’esperto in camice bianco ritiene tuttavia assai improbabile che i gatti possano contagiare a loro volta l’uomo. Nel frattempo l’istituto zooprofilattico provvede a indagare.

Nelle settimane scorse si è accennato al caso di un gatto contagiato a Hong Kong e poi morto, tuttavia a parere degli esperti interpellati dal South China Morning Post «è discutibile che Covid-19 sia stata la causa del decesso dell’animale». Anche in Belgio invece è stato segnalato il caso di un felino positivo.

Così parò Ilaria Capua, virologa, dall’ Università della Florida: «Con il primo contagio da Covid-19 su un gatto è arrivato il colpo di coda che ci aspettavamo. Essendo un virus di origine animale, ora torna a infettarli. Bisogna così gestire anche l’infezione degli animali, sia domestici come l’esemplare felino, sia quelli negli allevamenti. E questo sarà un enorme problema di gestione sanitaria pubblica».

Facciamo ora marcia indietro. I manifesti in quadricromia, un tempo, raccontavano pace quiete tenerezza calore morbidezza dalle vetrine degli studi fotografici: un cesto di vimini assembrato da gomitoli di lana d’angora e da una nidiata di “micetti”, cuccioli “adorabili”, a dimostrazione appunto dei giorni di pace. I gattini come sentinelle del tempo di gioia infine conquistata. Nei giorni scorsi, consultando la pagina di un celebre bar di Algeri che, nel 1956, conobbe le bombe dell’Fronte di liberazione nazionale, il leggendario “Milk Bar”, osservandone proprio la pagina Facebook, nonostante la memoria tragica dell’antico sangue che racconta la lotta per l’indipendenza di un popolo e la fine del colonialismo, perfino lì ho trovato incorniciate le foto di due gattini non meno meravigliosi dei nostri che ci vivono accanto, meglio, siamo noi a essere loro inquilini.

Nessuno tocchi i gatti! Accertati serbatoi di sicuri like nei social, nonché dimostrazione vivente di un’immediata caduta delle difese intellettuali, da Colette, al Premio Nobel Doris Lessing. Quanto a me, guardando Kim e Zuma, i padroni di casa, mi rifiuto di pensare che possano essere visti anche loro con lo stesso sospetto che si riserva invece ai roditori nel romanzo di Camus.

Valgano su tutto, le parole dell’Istituto superiore di sanità: «Non esiste alcuna evidenza che cani o gatti giochino un ruolo nella diffusione epidemica di Sars-CoV-2 che riconosce, invece, nel contagio interumano la via di trasmissione. Tuttavia, la possibilità che gli animali domestici possano contrarre l’infezione pone domande in merito alla gestione sanitaria degli animali di proprietà di pazienti affetti da Covid-19». I gatti dovrebbero sospettare, semmai, di tutti noi, gli umani.

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