L’anno della svoltaI sistemi sanitari reggeranno, ma la democrazia liberale è già sull’orlo del collasso

Dalla conclusione della Brexit alla rielezione (o rimozione) di Trump, sapevamo che quest’anno sarebbe stato decisivo per il futuro della politica occidentale. Ma non pensavamo fino a questo punto

Win McNamee/Getty Images/AFP

Sapevamo tutti che il 2020 sarebbe stato un anno molto importante per le sorti della democrazia liberale, con la conclusione della Brexit da un lato, dall’altro con la rielezione, o la rimozione, di Donald Trump alla Casa Bianca; ma onestamente non pensavamo fino a questo punto. Non prima della pandemia, che ha portato sull’orlo del collasso le strutture sanitarie di molti paesi occidentali e proiettato un’ombra persino più minacciosa sulle nostre istituzioni.

Sapevamo che quest’anno avremmo capito quanto la faglia apertasi nel 2016 nel cuore dell’occidente fosse destinata a ricomporsi, o fosse invece semplicemente l’inizio di una nuova epoca. Un’epoca in cui gli ingegneri del caos, come li chiama Giuliano da Empoli, avrebbero continuato a guadagnare terreno nel mondo, e inevitabilmente anche in casa nostra, secondo un principio di propagazione del moto populista già verificato alle elezioni del 2018, con il trionfo gialloverde.

Sapevamo che il 2020 sarebbe stato l’anno decisivo per valutare la reale portata della strategia della disgregazione perseguita dai nemici, interni ed esterni, dell’Europa. Non pensavamo che saremmo arrivati a discuterne mentre i mezzi dell’esercito russo attraversavano la penisola, su gentile invito del presidente Conte, e un portavoce del governo di Mosca minacciava apertamente un giornalista italiano, Jacopo Iacoboni, senza che il suddetto presidente del Consiglio o il suo governo emettessero un «pio», eccezion fatta per una tardiva nota congiunta dei responsabili degli Esteri e della Difesa, talmente flebile da rasentare il patetico.

Sapevamo che il 2020 sarebbe stato l’anno decisivo per misurare tenuta e capacità di reazione dell’Unione europea di fronte all’onda populista e neo nazionalista. Non pensavamo che saremmo arrivati a vedere il principale teorico della «democrazia illiberale», Viktor Orbán, prendere i pieni poteri in Ungheria. E quel che è peggio, molto peggio, ottenere come risposta da parte del resto d’Europa una dichiarazione ancora più flebile della nota dei ministri italiani. Una risposta talmente timida da non contenere nemmeno la parola «Ungheria», tanto che la stessa Ungheria si è potuta persino togliere il gusto di sottoscriverla.

Ogni giorno che passa sembra perdere forza, purtroppo, l’idea che l’epidemia avrebbe messo in crisi la narrazione populista, rilegittimato le voci della scienza e della responsabilità, emarginando complottisti e anti vaccinisti. Negli Stati Uniti il presidente Trump, con tutto quello che ha combinato sul virus, negando ripetutamente la necessità di alcuna seria contromisura, riguadagna terreno nei sondaggi, mentre Anthony Fauci, il principale esperto di malattie infettive del paese, che si è permesso di segnalare i rischi di un simile approccio, è sotto scorta per le minacce ricevute dai cospirazionisti.

L’emergenza sanitaria offre le condizioni ideali per tutti i nemici della democrazia e dello stato di diritto. Le offre adesso, regalando a molti aspiranti dittatori l’occasione di dichiarare lo stato d’eccezione (e da questo punto di vista è a dir poco scioccante che i due principali esponenti della destra italiana, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, non abbiano esitato a elogiare pubblicamente la scelta di Orbán); ma forse ancora di più nel prossimo futuro, quando si faranno sentire maggiormente le conseguenze economiche e sociali del lockdown. Se la fermezza, la capacità di reazione, il senso di sé dei difensori della democrazia liberale saranno quelli che abbiamo visto in questi giorni, obiettivamente, c’è poco da stare tranquilli.

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