Antonello Colonna«I 600 euro agli imprenditori non bastano. Serve un’amnistia fiscale»

Lo chef stellato e imprenditore romano: «Anche l’industria del turismo dovrà riconvertirsi. Se quando tutto riparte, non si darà valore a una frittura di mare sulla terrazza di Sorrento con le musiche di Caruso, allora siamo degli sciocchi»

Vincenzo PINTO / AFP

«Dalle istituzioni vorrei un discorso chiaro, tutti questi messaggi contraddittori diventano dannosi per chi ha delle attività e sta provando a riorganizzarsi». Un resort di lusso con stella Michelin immerso nella campagna romana, un ristorante nel centro di Milano, ma anche un bistrò alla stazione Termini e uno all’aeroporto di Fiumicino. Poi programmi televisivi, libri, design. Antonello Colonna, l’anarchico ai fornelli, chef stellato e imprenditore romano, ha molte vite e diverse passioni. E in questo periodo in cui i ristoranti sono chiusi, continua a proporre ricette sui social network. Bucatini cacio e pepe, bollito alla Picchiapò, bignè di San Giuseppe. «La nouvelle cuisine ci ha fregato. Siamo il Paese della pasta e oggi nei supermercati non si trovano il lievito di birra e la farina, ma di zenzero ce n’è in abbondanza». Lo chef romano si è rifugiato nel suo resort alle porte di Roma. Circondato da un parco naturale con orti e alberi da frutto, si definisce «serenamente incazzato». Il periodo è nero, l’estate dietro l’angolo. Ristoranti e hotel, tra i più colpiti da questa pandemia, saranno anche quelli a riaprire per ultimi nella ‘fase due’ immaginata dal governo. Colonna non ha dubbi: «Anche l’industria del turismo dovrà riconvertirsi, ma 600 euro agli imprenditori non bastano. Serve un’amnistia fiscale».

Come vive queste settimane di relax forzato? Come si tiene impegnato?
Sono qui in campagna nel mio rifugio a Labico, dove mi godo la natura che quest’anno ci sta accarezzando e ci offre i prodotti prima del previsto. Infatti adesso cucino la vignarola, una ricetta romana a base di fave, piselli e carciofi. Vengo dalla bottega, in cinquant’anni di lavoro non ho mai fatto una vacanza lunga un mese. Faccio finta che sia una fortuna. Leggo, scrivo, telefono, sto organizzando tre mostre. Non possiamo metterci a cantare sui balconi, bisogna lavorare ancora di più pensando alla ripartenza, ognuno con quello che ha. Io continuo a investire, non mi piace l’assistenzialismo, vado avanti con le mie forze e vedo dove posso arrivare.

Sulla ripresa delle attività c’è ancora molta incertezza. Si parla di maggio
La questione sanitaria è molto seria, nessuno è escluso da questo virus. Eppure vedo gente che fa carte false per andare a prendere un caffè all’Autogrill. Dicono: “Abbiamo il permesso”. Quale? Quello di morire? Dalle istituzioni vorrei un discorso chiaro. Dobbiamo aspettare prima di riaprire? Ci dicessero la verità. Ogni volta viene comunicata una data diversa. Basta con i “si vocifera” e con i “m’ha detto un amico mio”. Tutti questi messaggi contraddittori diventano dannosi, anche per chi ha delle attività e sta provando a riorganizzarsi.

I suoi dipendenti sono preoccupati?
Non si aspettavano una situazione del genere, ora sono in cassa integrazione. Li chiamo tutti i giorni, abbiamo fatto anche i gruppi Whatsapp con le squadre di lavoro. Ai ragazzi di Milano parlo in romano, ai romani parlo in milanese. Io sono un generale di trincea, con la tuta mimetica. Quando c’è da tornare in battaglia ci sono sempre.

Quando ripartirete, come pensate di organizzarvi? E come cambierà il lavoro?
Aspettiamo indicazioni chiare dalle autorità e ci adegueremo nei nostri ristoranti. Per fortuna il resort a Labico ha spazi interni di 3200 metri quadri, quindi se sarà necessario farò sedere moglie e marito in due tavoli separati! Abbiamo anche 60 ettari di parco intorno alla struttura. Ho deciso che quest’anno non farò il fieno, ma quegli spazi li destinerò ai prati. La gente avrà voglia di camminare, anzi di correre. Ah, ho deciso anche di aumentare la produzione di pomodori. Se va male, mi metto a vendere pelati.

Turismo e ristorazione ne risentiranno pesantemente, peraltro con l’estate alle porte. Teme per il vostro settore? Cosa si aspetta?
Quando si riaprirà, ci sarà una sorta di resa dei conti. Si vedrà chi aveva già investito sul turismo nazionale e chi, invece, contava soprattutto su quello straniero. È chiaro che molti hotel a cinque stelle e ristoranti stellati, come quelli di Roma, vivevano con gran parte di clientela straniera, magari americana. Le difficoltà ci saranno, all’inizio sarà tutto azzerato. Bisogna continuare a fare quello che facciamo, senza abbassare la qualità, con la speranza che il turismo interno resti sul territorio. Ai miei colleghi albergatori dico: non addormentatevi. Le persone saranno costrette a rimanere nei confini del nostro Paese? Bene, cerchiamo di investire sul turismo italiano, riconvertiamoci. L’accoglienza è una scienza, lavoriamoci ancora meglio.

Quindi?
Se quando tutto riparte, non si darà valore a una frittura di mare sulla terrazza di Sorrento con le musiche di Caruso, allora siamo degli sciocchi. Il cibo e il turismo sono la locomotiva più importante per ripartire, magari riscoprendo veramente il turismo nazionale. Località come Sora o Carsoli, per non citare la già famosa Matera. In ogni caso penso che, quando riapriranno hotel e ristoranti, le persone verranno. La gente ha voglia di scappare. Le dico solo che il weekend prima delle chiusure, quello tra il 5 e il 7 marzo, il nostro resort ha realizzato un fatturato mai visto negli anni scorsi. Sa perché? Girava voce che stavano per chiudere il Lazio.

A marzo il governo ha varato il decreto “Cura Italia” con le prime misure per rispondere all’emergenza economica. È un primo passo? Cosa serve ancora?
Servono leggi chiare e uno Stato in grado di velocizzare, mentre oggi non c’è nulla di certo. Cosa fa un imprenditore con i 600 euro del governo? Bisogna essere realisti, sono a rischio le piccole imprese, e sono tantissime. Serve un’amnistia fiscale per rilanciare l’economia. Ci vorrà almeno un anno per congelare il virus al cento per cento. Intanto che facciamo? La gente deve campare. Va bene attivare la cassa integrazione e i sussidi di disoccupazione, ma poi lo Stato deve anche farsi carico almeno del 20 per cento del fatturato che perdono le aziende. Un imprenditore che conosco ha un grande locale vicino Roma. In poche settimane si è visto annullare 300 eventi tra matrimoni, feste aziendali, comunioni e compleanni. E adesso sta pensando di fare assegni post-datati. Tra un mese ci si ritroverà con una montagna di decreti ingiuntivi e protesti nel Paese.

Come valuta la gestione dell’emergenza? Il Governo si è rivelato all’altezza?
Dobbiamo confidare nello Stato, ma stiamo navigando a vista. Ho trovato una gestione un po’ superficiale, ho visto troppe mezze misure. I treni funzionano, ma alla stazione non puoi avere nemmeno un bicchier d’acqua. Allora chiudi tutto e fai il coprifuoco. La verità è che nessuno era pronto a una situazione del genere: né la scienza, né la sanità, né la politica. Comunque ci sarà tempo per fare i complottisti, magari tra due anni al cinema quando uscirà il film sul coronavirus con gli attori che interpreteranno i nostri politici e i ministri.

Oltre alle conseguenze economiche, questa pandemia come cambierà il Paese?
Non so se passata la tempesta ci dimenticheremo di “zio Corona”. Chi ha avuto morti in casa, di certo se ne ricorderà. E lo Stato dovrebbe ricordarsi dei suoi medici. Noi, invece? O diventeremo tutti più devoti e andremo in processione al santuario del Divino Amore, oppure torneremo come prima a mandarci a quel paese in mezzo al traffico. E sarà fantastico.

Nell’attesa di tornare a servire i clienti, quale sarà il suo pranzo di Pasqua?
Sarò con la mia famiglia e ci sarà tutta la gioia delle nostre tradizioni: lasagne e capretto. E ovviamente la colazione romana di Pasqua con salame, uova sode, coratella e pizza cresciuta. Mangeremo così, pensando di essere salvi.