Non covid-bond, chiamamoli Eurobond. Sono, del resto gli strumenti più importanti e virtuosi che l’Unione europea deve mettere in campo per un lungo periodo, in dimensioni notevoli e appropriate per il rilancio del sistema produttivo e industriale europeo che è stato, di fatto, in gran parte fermato dalla pandemia. Dopo che i rigidi parametri di austerità sono saltati dappertutto, anche nelle case dei più duri rigoristi, siamo travolti da un turbinio di centinaia, di migliaia di miliardi di euro e di dollari che i governi e le banche centrali dicono di voler disporre per affrontare l’emergenza. L’Unione europea ha sospeso il Patto di stabilità lasciando i governi liberi di decidere i loro interventi di sostegno all’economia e ai cittadini. Dai Paesi del G20, con gli Stati Uniti in testa, dovrebbero arrivare 5.000 miliardi di dollari di sostegni alle economie.
A loro volta le banche centrali, oltre ai tassi di interesse a zero, hanno annunciato enormi iniezioni di liquidità nel sistema. La Banca centrale europea metterebbe 870 miliardi di euro, equivalente al 7,3% del prodotto interno lordo della zona euro, per comprare dal settore bancario titoli di stato e abs (titoli legati a traballanti asset sottostanti). La Federal Reserve, a sua volta, si dice pronta a garantire liquidità illimitata con lo stesso intento. La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha affermato che «con le nostre operazioni di finanziamento stiamo mettendo a disposizione fino a 3.000 miliardi di euro di liquidità». Governi e banche centrali, inoltre, sottolineano che, se la situazione lo richiedesse, gli interventi potrebbero essere ampliati. Lo stesso si sta facendo in tutti gli altri Paesi del mondo, Cina compresa.
A questo punto riteniamo che sia necessario fare un po’ di chiarezza proprio sul fronte economico e finanziario. Per bloccare la circolazione del contagio del virus è stato deciso di fermare le attività di importanti settori economici, È doveroso che i governi facciano tutto ciò che è necessario, dal punto di vista organizzativo e finanziario, per sostenere economicamente le popolazioni costrette a stare in casa ed evitare che le imprese di tutte le dimensioni falliscano per ragioni che evidentemente non sono solo economiche. La quantificazione del sostegno sarà variabile rispetto alla durata dell’emergenza e alla dimensione dell’impatto economico nelle singole realtà nazionali.
Cosa diversa è la politica monetaria annunciata dalle banche centrali. Esse hanno proposto nuovamente le stesse misure decise per far fronte alla Grande Crisi del 2008: acquistare obbligazioni pubbliche e altri titoli di più dubbio valore in loro possesso con la promessa che le banche beneficiarie facciano rifluire la liquidità verso gli investimenti produttivi e facciano prestiti alle famiglie e in particolare alle Piccole e medie imprese per supportarne le produzioni e i consumi. L’esperienza del passato decennio, purtroppo, ci dice che queste promesse non sono state mantenute. Al contrario, gli interventi delle banche centrali sono serviti soprattutto a stabilizzare situazioni compromesse delle banche too big to fail. Questa volta esse “non appaiono” come quelle che chiedono di essere salvate. Tutto passa, s’intende, sotto l’emergenza provocata dal coronavirus.
Oggi, e lo abbiamo più volte ripetuto anche sulle pagine di questo giornale, il sistema bancario e in particolare quello ancora più potente e nebuloso dello shadow banking si trovano globalmente in una situazione molto più rischiosa di un decennio fa. Basti un dato per comprenderne la gravità: il debito pubblico e privato globale (senza il settore finanziario) è salito al 250 per cento del Pil mondiale. Era del 200% nel 2008. Il gestore di questa enorme e complessa disponibilità finanziaria è ovviamente l’attuale sistema finanziario.
Noi sosteniamo che sia arrivato il momento che gli Stati intervengano e non siano passivi spettatori, ma attivi e responsabili decisori. Se si è deciso che centinaia di milioni di persone restino chiuse in casa, che le fabbriche debbano fermarsi e che persino le chiese sospendano le loro funzioni, non è tollerabile che i mercati continuino ad avere mano libera come se non fosse successo assolutamente niente. Del resto, essi non sono i nuovi dei dell’Olimpo che possono decidere delle sorti del pianeta.
Occorre che lo Stato intervenga nei mercati. Perché non bloccarli quando sono in preda a un’irrazionalità incontrollata e speculativa? Che senso ha vedere le borse perdere il 10-15 per cento in pochi minuti e poi affermare che deve essere così in quanto lo dice la legge suprema, “divina”, del liberismo economico? La domanda da porsi è quanto mai inquietante: è più importante la vita delle persone, delle imprese e l’economia reale oppure la finanza e il suo mercato? Non si tratta di mettere alla berlina le banche. Anzi, il sistema creditizio è essenziale per il funzionamento dell’economia, dei commerci e delle nazioni. Ecco perché adesso occorre guidare la finanza verso una sua profonda revisione.
Lasciare mano libera ancora una volta alla finanza speculativa e continuare a operare as usual sarebbe esiziale e significherebbe ripetere lo stesso errore compiuto dieci anni fa. È il momento che gli Stati impongano unitariamente una forma di “amministrazione controllata” sull’intero sistema bancario e finanziario, nel quale salvare la componente sana e liquidare quella malata e speculativa. Perciò è inevitabile la separazione tra le banche commerciali e quelle d’investimento. I risparmi delle famiglie e i depositi delle imprese non dovranno più essere usati o messi a garanzia di operazioni speculative di tutti i tipi, a cominciare dai derivati finanziari otc.
O gli Stati interverranno oppure il sistema, il mercato con le sue pseudo regole attuali, presto o tardi provocherà altre catastrofi economiche e sociali.
Di solito, dopo le grandi catastrofi o le terribili pandemie non si ritorna alle pratiche del passato, ma ci si impegna a riformare le legislazioni e il modus operandi ritenuti errati e dannosi.
*Mario Lettieri, già sottosegretario all’economia e Paolo Raimondi, economista