Dopo aver invocato dieci giorni fa l’uso del Mes con una lettera al Financial Times, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto di non voler firmare alcun accordo con i colleghi europei che citi il Mes. Salvo poi mercoledì aprire all’ipotesi di un accesso al Mes, ma senza condizionalità. E così gli italiani che negli anni hanno dovuto imparare termini come spread, deficit e debito pubblico non hanno ancora capito se il Mes sia la panacea di tutti mali o una resa incondizionata alla Troika. E soprattutto si chiedono se queste condizionalità porteranno a un commissariamento del Paese. Bisognerà fare una patrimoniale? Ci sarà un aumento delle tasse?
Facciamo ordine: il Meccanismo europeo di stabilità è un’organizzazione intergovernativa creata dagli Stati dell’eurozona per aiutare i Paesi in crisi finanziaria o in default. Si è parlato molto dell’amministratore delegato del Mes, il tedesco Klaus Regling, ma l’organo che veramente approva la richiesta di adesione, concede il sostegno finanziario e modifica gli strumenti di intervento è il “Consiglio dei Governatori”, formato dai 19 Ministri dell’economia dell’area dell’euro. Quindi a decidere sono sempre gli Stati. Il Mes entra in azione quando un Paese con l’euro perde l’accesso al mercato perché considerato poco credibile dai creditori. E lo fa fornendo dei prestiti o aprendo linee di credito. Il vecchio Fondo Salva Stati è stato così modificato per proteggere un Paese in difficoltà con una misura potente e rapida, evitando di contagiare gli altri membri della zona euro. Dal luglio 2012 ha aiutato Paesi molto indebitati in momenti di difficoltà fornendo oltre 295 miliardi di euro tramite prestiti concessi a Portogallo, Cipro, Spagna (41 miliardi),e soprattutto Grecia (61 miliardi).
Come può avere tutti questi fondi? Grazie a un capitale iniziale di 80 miliardi di euro finanziato inizialmente dai vari Stati in base alla grandezza del prodotto interno lordo. Tra questi c’è l’Italia che ha dato 14 miliardi di euro e ne è il terzo azionista con il 17% delle azioni dopo Francia e Germania. Il Mes ora ha a disposizione circa 410 miliardi (ma 704 miliardi, potenzialmente, se tutti gli Stati versassero interamente la loro quota). Ottanta miliardi iniziali li hanno messo gli Stati e gli altri raccolti emettendo dei bond, delle obbligazioni sul mercato a tassi convenienti, con scadenze che arrivano fino a 45 anni.
Per il Mes è facile raccogliere soldi sul mercato perché gli investitori si fidano di un organismo finanziato dagli Stati. La sua esistenza rassicura i mercati e riduce la probabilità che si possano presentare potenziali crisi speculative su alcuni Paesi in difficoltà perché esiste questa mega assicurazione. Non solo, quando si accede al Mes, la Banca centrale europea può diventare prestatore di ultima istanza e comprare i titoli di Stato senza limiti anche sul mercato primario. Sono le “operazioni monetarie definite”, gli Omt.
Il Mes può erogare due linee di credito in base a chi lo chiede. La prima è “precauzionale” (Pccl) per Paesi con finanze solide, la seconda è “rafforzata” (Eccl) per gli Stati che superano il rapporto debito Pil del 60%. L’Italia è al 134%. In entrambi i casi le due linee di credito danno il via libera agli Omt, l’acquisto illimitato di titoli di Stato da parte della Bce.
E le condizionalità? Per accedere ai prestiti del Mes lo Stato in difficoltà deve firmare un memorandum negoziato con la Commissione europea che chiede delle riforme specifiche per migliorare l’economia del Paese. Riforme per aumentare la vigilanza bancaria, stimoli alla crescita economica, riforme fiscali e se necessari tagli alla spesa pubblica o privatizzazioni, che non sono patrimoniali. Si tratta di riforme base che dovrebbero fare tutti gli Stati in difficoltà a prescindere dal Mes, per migliorare i loro conti pubblici. E sono state inserite per evitare che un Paese ricevesse soldi senza migliorare la sua condizione economica. La ristrutturazione del debito non è obbligatoria per accedere al prestito, e la concessione del credito non è subordinata alla ristrutturazione del debito.
«L’Italia non dovrebbe avere paura. Le condizionalità sono blande, ma soprattutto in questo momento non abbiamo bisogno del Mes. Finché abbiamo accesso al mercato (e questo dipende essenzialmente dalla prosecuzione dei programmi di acquisto della Bce) e possiamo indebitarci a tassi contenuti, perché dovremmo ricorrere alla estrema linea difensiva? Il Mes entra in gioco solo se perdiamo accesso al mercato, ma questo è improbabile a meno che non diamo la sensazione che siamo impazziti e vogliamo aumentare strutturalmente la spesa per centinaia di miliardi in modo irresponsabile», spiega Carlo Stagnaro, economista dell’Istituto Bruno Leoni.
«Se costruiamo una strategia razionale per uscire dalla crisi, usando in modo razionale le risorse e mostrando che le destiniamo a finalità comprensibili (potenziare la sanità, aiutare imprese e lavoratori, ecc), non credo proprio ci troveremo con le spalle al muro. Il paradosso è che, più ci impuntiamo contro ogni forma di condizionalità, più diamo la sensazione che siamo sull’orlo del baratro e peggioriamo la percezione che hanno di noi coloro a cui chiediamo soldi in prestito».
Quindi il problema per il governo Conte non sono le condizionalità in sé, ma il solo fatto di parlarne e accedere al Mes darebbe l’idea ai mercati di un’Italia sull’orlo della crisi. Un Paese di serie B, che deve fare i compiti a casa, o comunque meno forte degli altri. Ecco spiegata l’insistenza del presidente del Consiglio e del premier spagnolo Pedro Sanchez nel rendere il Mes “aperto a tutti”. Se tutti potessero accedere potenzialmente al fondo, allora non darebbe più l’immagine di una misura per contagiati.
Per questo il presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di mercoledì ha detto che il Mes «è uno strumento assolutamente inadeguato, nato in un altro contesto per accompagnare i singoli Stati per uscire da shock asimmetrici, ma noi stiamo attraversando uno shock simmetrico» e si è detto disponibile a prenderlo in considerazione solo se il Fondo sarà snaturato ed entrerà in «un ampio pacchetto».
Riassumendo: l’Italia non ha ancora bisogno del Mes perché può accedere ancora facilmente ai mercati. Ma in teoria potrebbe fare deficit quanto serve perché il Patto di Stabilità è stato sospeso e non ci sono quindi vincoli europei. Ma allora perché chiede più finanziamenti? Non potrebbe farseli prestare dal mercato per poi restituirli in futuro? Anche grazie all’intervento della Bce che con il suo nuovo piano di acquisti, il Pandemic emergency purchase programme dovrebbe riuscire a coprire i 2/3 dei Btp di quest’anno, come ha ricordato Romano Prodi a Piazzapulita, su La7. C’è però un gigantesco problema: il debito pubblico italiano al 134% del prodotto interno lordo. Passata l’emergenza col crollo del Pil rischia di arrivare al 150%. E il problema non sarebbe solo convincere i mercati a prestare i soldi, ma restituirli. Un problema che non hanno gli Stati con un debito pubblico basso, come la Germania (61%) o Paesi Bassi (52,4%) per esempio, che possono permettersi di immettere molti miliardi nell’economia senza preoccuparsi di sballare i conti.
Il governo italiano ha meno libertà d’azione, così come Spagna (97,6%) e Francia (98,4%), e per questo sta insistendo sull’idea degli eurobond, considerandoli però quasi come degli investimenti a fondo perduto da non restituire. Perché se il debito è condiviso con altri Stati, il Paese che non potrà più ripagare il prestito potrà contare sull’aiuto di quelli più ricchi. Ed è quello che temono Germania, Austria e Paesi Bassi. Mentre di sicuro il Mes anche se accessibile a tutti, senza condizionalità o altre misure convenienti, sarebbe comunque un prestito che il singolo Stato dovrebbe restituire. Tutti preferirebbero ricevere soldi gratis anziché riceverli e poi doverli restituire. Forse chiarirlo anche ai nostri alleati, e ai cittadini, renderebbe la richiesta d’aiuto più efficace.