Ritorno a scuolaAzzolina immagina un rientro il 18 maggio, ma il rischio è che non si riparta a settembre

Il ministro prefigura scenari irrealistici, quando gli esperti spiegano che con i fondi a disposizione sarà impossibile garantire l’avvio del nuovo anno in sicurezza per studenti e docenti

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Per far entrare la scuola nelle case di studenti e docenti italiani, finora il governo ha stanziato 85 milioni di euro, acquistando strumenti tecnologici e connessioni per tutti. Ora il ministero dell’Istruzione ha varato un nuovo decreto, entrato in vigore giovedì, in cui delinea i diversi scenari di un ipotetico ritorno a scuola, compatibilmente con l’emergenza. Il primo scenario è il rientro entro il 18 maggio, una eventualità «irrealistica», secondo Paolino Marotta, presidente dell’Andis, l’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici. «Due settimane di lezione non risolverebbero niente. Darebbero forse la possibilità ai docenti di somministrare verifiche e un voto, formalizzando l’esito nella maniera tradizionale. Ma le famiglie sono in apprensione per il rientro. Parliamo di otto milioni di ragazzi con familiari al seguito e 800mila docenti. Numeri importanti che muovono una buona parte della popolazione».

Il decreto prevede esami “semplificati”, composti da un orale per il diploma e un piccolo elaborato per gli studenti di terza media. Per tutti gli altri, di fatto ci sarà un passaggio in automatico alla classe successiva, con verifica a settembre di eventuali lacune e corsi di recupero durante la prima parte dell’anno. Sempre che si rientri a settembre. Sull’argomento il ministero sta iniziando a sondare la possibilità di rientri differenziati a seconda delle zone che avranno recuperato più in fretta dal coronavirus. Un tema che ha già fatto scalpitare le regioni, che hanno la potestà sul calendario scolastico.

Secondo aspetto del decreto, la questione dei concorsi e il blocco delle graduatorie per i docenti; punti molto delicati. Da sempre il settore della scuola deve gestire un gran valzer di precari che raramente riescono a farsi assegnare le cattedre. Il ministero prevede 4.500 assunzioni e due concorsi (per primaria e infanzia e per la secondaria) che potrebbero essere banditi a breve, ma l’emergenza sanitaria rischia di complicare le cose.

Terzo, non meno importante, viene introdotta l’obbligatorietà della scuola digitale per l’anno 2020-2021. Una sorta di punto di non ritorno in cui il ministero riconosce sia quanto è diventata importante la tecnologia improvvisamente, così come i metodi di insegnamento innovativi. Una buona iniziativa che però si scontra con la pratica e il passato. Perché negli ultimi anni i governi non hanno mai investito in maniera coerente e sostanziosa su questo fronte.

Le premesse, considerando lo stato in cui la scuola italiana versava già prima, non sono buone. A settembre si porrà il problema fondamentale di come garantire il rispetto di tutte le condizioni sanitarie per tutelare la salute degli studenti.  Al momento i sindacati si sono lamentati in due lettere al ministero di non aver avuto «alcun confronto» su come spendere gli 85 milioni confermati con il decreto (70 milioni sono destinati all’acquisto dei device e alla consegna in comodato d’uso; 10 per la promozione dell’utilizzo di piattaforme di e-learning e altri 5 milioni per la formazione dei docenti). Questa settimana, la FLC Cgil, il comparto scuola del sindacato, ha approfondito in un comunicato le sue contestazioni, specificando come ciò che più preoccupa sia «il vuoto sulla questione che appare centrale: come garantire una piena ripresa dell’attività didattica al primo settembre 2020».

La ministra Lucia Azzolina ha dichiarato di non voler tagliare i posti per i docenti: «L’organico della scuola resta invariato. Le cattedre non saranno toccate, non diminuiranno, nonostante la denatalità», ha scritto su Facebook il giorno di entrata in vigore del decreto. lI problema è che manca proprio l’organico. Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori (Anief), a settembre si registrerà il record di precari degli ultimi cinque anni.

Sui concorsi messi al bando nel decreto, «il ministro sa bene che non si potranno espletare», dice Pacifico. Sul tema si è espresso anche il sottosegretario all’istruzione, Giuseppe De Cristofaro: «dobbiamo fare un bagno di realismo: non siamo nella condizione di far svolgere i concorsi per assumere gli insegnanti. Ed è meglio non bandire concorsi che poi non si faranno. Dobbiamo immaginare da subito altre strade per immettere nella scuola nuovi docenti sin dal primo settembre». I sindacati, infatti, chiedono procedure semplificate per assumere personale, a fronte del fatto che inevitabilmente, al rientro a scuola, serviranno più docenti. «Per eliminare le classi pollaio bisognerebbe avere il doppio delle aule e il doppio dei docenti. Magari in fase di emergenza si troveranno i soldi anche per questo», dice a Linkiesta Marotta.

Ancora una volta, l’atteggiamento appare però quello di puntare sugli aspiranti al ruolo, peraltro aprendo alle cosiddette “messe a disposizione” (Mad) dei docenti selezionati direttamente dai dirigenti scolastici, diretta conseguenza della chiusura delle graduatorie di istituto. «Così si va contro alla meritocrazia e si aumenterà il fenomeno del balletto dei precari», dice Pacifico. Nonostante lo stanziamento degli 85 milioni, poi, non tutti ancora possiedono i dispositivi e la connessione necessari per fare scuola a distanza. «In termini perentori si dice che la didattica a distanza diventa prestazione ordinaria come se ciò bastasse a risolvere tutte le criticità che sono emerse in queste settimane», dice la Flc.

Una situazione potenzialmente esplosiva, che rischia di non mettere nessuno in grado di lavorare in condizioni accettabili. «Per la ministra evidentemente l’anno scolastico prossimo si può aprire senza provvedimenti eccezionali che mettano le scuole del Paese, duramente provate dalla sospensione delle attività didattiche in presenza, in una condizione di forza per recuperare il tempo perduto», dice ancora il comunicato Flc. «Evidentemente sfugge la drammaticità di ciò che potrebbe accadere al ritorno in classe con numeri abnormi di precariato, destinati a crescere ulteriormente, con la mancanza di docenti, personale Ata, Dsga di ruolo e insegnanti di sostegno specializzati. La scuola ha bisogno di un cambio di passo e non di ordinarie misure di funzionamento destinate a mancare gli obiettivi di rilancio che la crisi epidemiologica oggi impone più che mai».

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