Tra le novità dell’ultimo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri firmato dal premier Giuseppe Conte, c’è una mappa concettuale dei «Principi per il monitoraggio del rischio sanitario». Lo schema elenca i requisiti per i quali si può o meno accedere a una nuova fase dell’emergenza, partendo dalla ben nota Fase 1 (quella de lockdown).
Per procedere verso il secondo step, si legge in una mappa concettuale piuttosto confusa, si valutano gli standard di «sorveglianza epidemiologica». Se non soddisfatti la Fase 1 di fatto continua, altrimenti sorgono altri criteri da soddisfare: la stabilità di trasmissione; i servizi sanitari non sovraccarichi; le attività di readiness; l’abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti; e la possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena.
Nel caso non ci fossero questi presupposti, anche per i successivi punti, la conseguenza sarà un ritorno alla prima casella, quella della Fase 1. Proseguendo, in caso di un responso positivo, si entra quindi nella Fase 2A, quella della «Transizione Iniziale». Questa sarà soggetta a rivalutazioni periodiche dei suddetti criteri, e solo se positiva a tali valutazioni potrà passare un altro esame: cioè quello per entrare nella Fase 2B.
Per accedere alla Fase 2B, o fase della «Transizione avanzata», bisogna anche qui possedere una capacità di monitoraggio epidemiologico, la stabilità di trasmissione, servizi sanitari non sovraccarichi, attività di readines, abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti e la possibilità di garantire adeguate risposte per contact-tracing, isolamento e quarantena.
Solo se i criteri saranno poi successivamente rispettati si potrà passare al mantenimento della Fase 2B e, una volta garantito l’accesso diffuso a trattamenti o a il vaccino contro il virus, si passerà alla Fase 3, il «Ripristino». Quando anche questa fase sarà assodata e mantenuta stabile, ci sarà l’ultimo passo verso la Fase 4, ovvero la fine della pandemia e la «Preparazione».
Nel decreto si dettano anche numeri e dettagli cui le regioni devono sottostare per completare questo percorso. Per esempio, la Fase 1 prevede che la sorveglianza epidemiologica sia fatta con: un numero di casi sintomatici notificati per mese; numero di casi notificati per mese con la storia di ricovero in ospedale; il totale dei casi sia sintomatici sia ricoverati; il numero dei casi per mesi e totale che sono stati ricoverati in terapia intensiva; e il numero dei casi mensili e totali per comune o residenza. Qui lo scoglio da superare per arrivare alla Fase 2 è che almeno il 60 per cento dei casi abbia un trend in miglioramento.
Per poi passare alla valutazione sulla «trasmissione di Covid-19». Questa comprende lo studio del numero di casi riportati alla protezione civile negli ultimi 14 giorni, l’indice Rt (l’indice di trasmissibilità della malattia infettiva) e i numeri di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-net per settimana, e poi tutte le cifre riguardanti i sintomatici e gli eventuali nuovi focolai. A tutte queste voci le annotazioni dovranno riportare un trend in diminuzione o stabile.
Così facendo, dopo ulteriori «Valutazioni del rischio ad hoc» e l’accertamento che la trasmissione sia gestibile con l’aumento delle misure sub-regionali, si accede ai criteri per i passaggio alla Fase 2A – cioè quelli esposti nel quadro complessivo: la stabilità di trasmissione, i servizi sanitari non sovraccarichi, attività di readiness e via dicendo.
Se questa stabilità sarà mantenuta si potrà attivare la Fase 2A, per la quale ci sarà una rivalutazione settimanale e mensile della soddisfazione dei criteri e quindi una miglior strutturazione in itinere. Nel caso ciò non avvenga, la sola opzione è quella di un ritorno alla Fase 1, il Lock-down.