Gli italiani dovranno festeggiare a casa il 25 aprile a causa del coronavirus. Niente cortei, strette di mano o discorsi in pubblico. Ma c’è un altro Paese in Europa che ha deciso comunque di festeggiare la sua liberazione: il Portogallo. Sabato è il 46esimo Dia da Liberdade, in cui i militari posero fine alla dittatura istituita nel 1926 da Antonio Salazar, e proseguita dal suo successore Marcello Caetano. Dopo due anni tornò la democrazia. Ogni anno, per festeggiare la Rivoluzione dei garofani si riunisce il Parlamento con una solenne sessione, seguita una grande parata a Lisbona. Un piano che sarebbe impossibile ripetere in questo momento di quarantena generale. O quasi.
Catarina Martins, del partito Bloco de Esquerda (BE), ha lanciato una petizione per tenere aperto il Parlamento nel giorno più importante per i cittadini portoghesi. La petizione ha come primi firmatari i socialisti Manuel Alegre, Alberto Martins e José Vera Jardim, il fondatore di Be Fernando Rosas e l’eurodeputata Marisa Matias.
«Quando nel mondo esistono più regimi autoritari che democrazie, – scrive Martins – quando ci sono paesi europei che hanno utilizzato la pandemia per sospendere la democrazia, allora non si tratta di aprire il Parlamento per festeggiare, si tratta di non chiuderlo nel giorno in cui si celebra la democrazia».
Il presidente dell’Assemblea della Repubblica, Ferro Rodrigues, in una dichiarazione resa al quotidiano portoghese Público, ha confermato che «più che in qualsiasi altro momento, il 25 aprile deve essere e sarà celebrato. Un modo per ribadire che da questa crisi non emergerà alcuna alternativa antidemocratica».
A causa delle restrizioni imposte dal Covid-19, la seduta solenne del 25 aprile si terrà con un terzo dei deputati (77 dei 230 parlamentari) e meno invitati, che si aggireranno intorno ai 130, in confronto alle 700 persone presenti dell’anno scorso. Il Presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, ha ribadito che parteciperà alla sessione commemorativa.
Ma perché i garofani rossi sono il simbolo della rivoluzione? Per spiegarlo è necessario fare un passo indietro al 25 Aprile del 1974 in cui i carri armati circondarono i palazzi governativi nella zona di Terreiro do Paço. Il popolo e gran parte delle forze armate si stavano ribellando a ciò che restava del cosiddetto Estado Novo, il regime che, sotto l’autorità di Antonio Salazar prima e Marcelo Caetano poi, si era trasformato nella dittatura più longeva dell’Europa occidentale, supportata da una Costituzione fondata sul corporativismo e sugli ideali fascisti.
Un solo partito era autorizzato, la União Nacional (Unione nazionale), partito di ispirazione nazionalista, corporativa, anti-socialista e fascista. La libertà politica era vietata, le elezioni c’erano ma solo formalmente e come in tutti i regimi autoritari la polizia politica, perseguitava gli oppositori, spesso arbitrariamente arrestati, torturati e uccisi.
All’inizio degli anni settanta alcuni ufficiali subalterni con idee politiche contrarie alla politica governativa, i cosiddetti «capitani», comandati da Otelo Saraiva de Carvalho e Salgueiro Maia, fondarono il Movimento delle Forze Armate e cominciarono a far circolare clandestinamente un programma volto all’insurrezione.
Ma quella mattina di un 25 aprile all’apparenza normale, alla popolazione civile, è semplicemente sconsigliato di uscire per strada. La sera precedente, il segnale concordato per la sollevazione era riecheggiato alla radio Emissores Associados de Lisboa sulle note della canzone popolare “E depois do Adeus” di Paulo de Carvalho, quando grand parte del popolo intero dormiva.
A mezzanotte e venti, poi, arrivò il segnale decisivo: Radio Renascença suonò “Grândola Vila Morena” di Zeca Afonso. I giovani capitani progressisti Salgueiro Maia e Otelo Saraiva de Carvalho, sfidarono apertamente l’ Estado Novo, nato nel 1932 con la salita al potere del professore di economia di Coimbra, António Oliveira de Salazar. Insomma, il golpe era iniziato già da molte ore, ma alle otto del mattino nessuno sapeva ancora cosa stesse davvero accadendo.
Celeste Martins Caeiro, impiegata al magazzino di un ristorante self-service di Lisbona a Rua Braamcamp, aveva ricevuto dal suo titolare un mazzo di garofani rossi e bianchi comprati al Mercado da Ribeira come omaggio perché quel giorno non avrebbe lavorato. Dopo aver preso la metro semi deserta ed essere scesa a Chiado, la fermata davanti a casa trovò soldati e carri armati presenti lì dalle tre del mattino.
I soldati erano diretti alla Caserma del Carmo, dove si era rifugiato Marcelo Caetano e prima di andare chiesero a Celeste una sigaretta che non avendola, gli regalò un garofano rosso. Il soldato lo prese e infilò il fiore nella canna del fucile. Tutti i militari, sull’esempio del primo, misero un garofano nella canna.
E così, come una cascata, tra le persone, nei fiorai, negli spazi pubblici, tra i militari, il gesto pacifico del garofano rosso invita a non iniziare un conflitto a fuoco. Il governo sparò sulla folla di manifestanti uccidendo quattro persone, ma poi dovette arrendersi. Le trattative porteranno Caetano all’esilio e il Portogallo alla proclamazione di un regime compiutamente democratico. Da quel giorno, Celeste è conosciuta come Celeste dos cravos, Celeste dei garofani.
Quel fiore, il cui simbolo ora compare nelle pagine dei social network di gran parte dei politici portoghesi, è il motivo per cui riammarrano aperte le porte della Casa della Democrazia portoghese, nonostante il coronavirus.