Diciotto mesi trascorsi a invecchiare in botti di legno. Ecco quanto tempo occorre per ottenere la Worcestershire Sauce, quella salsa fermentata presente nel 98% delle cucine che insaporisce bistecche, piatti di pesce, zuppe e – cosa ancora più importante – il Bloody Mary. È talmente comune, la salsa Worcestershire, che spesso viene data per scontata: perché ne posseggo una bottiglietta? Tolta la ricetta per cui ho dovuto usarla manco mi ricordo quando, per cos’altro la utilizzo? Chi l’ha inventata? Cosa c’è dentro?
Partiamo dalle basi: esistono tanti modi per pronunciare erroneamente Worcestershire quanti sono gli ingredienti che compongono la salsa Worcestershire. Il che suona un po’ come la prima regola del Fight Club, ma d’altronde pure in fatto di salse non si scherza per niente. Dicevamo, gli ingredienti: la versione classica contiene aceto di malto, cipolle, aglio, melassa, pasta di tamarindo, sale, zucchero, alici sotto sale, peperoncino, una miscela di spezie come coriandolo, semi di senape, chiodi di garofano, pepe e scorza di agrumi. Nonostante la ricetta rimanga segreta, sappiamo che tutti vengono fermentati individualmente, poi mischiati, infine ri-fermentati insieme, seguendo l’antichissima tradizione della salsa di pesce fermentata presente in molte culture – garum romano in primis.
La nascita della salsa Worcestershire è databile attorno al 1837 nell’omonima città di Worcester, in Inghilterra, ma le sue origini sono ancora avvolte nel mistero. Secondo Josh Chetwynd, autore di How The Hot Dog Found Its Bun, a rendere nebulosa la storia hanno contribuito non poco John Weeley Lea e William Henry Perrins, i fondatori della Lea & Perrins, l’azienda che ancora oggi – sebbene nel 2005 sia divenuta di proprietà del gruppo Heinz – produce la salsa. I signori Lea & Perrins raccontano che un tale Lord Marcus Sandys (la cui identità è stata poi contestata: puro espediente narrativo?), dopo aver governato con successo la regione del Bengala, in India, fosse tornato in Inghilterra con l’intenzione di ritirarsi dalla vita politica. In India Lord Sandys c’aveva lasciato il cuore: gli mancava il clima, la gente (forse) l’amore, i colori, il mare, ma soprattutto gli mancava la sua salsa preferita, introvabile nella madrepatria. L’ex governatore incaricò allora i proprietari di una farmacia locale – John Weeley Lea e William Henry Perrins, per l’appunto, che non trattavano soltanto articoli da toeletta e cosmetici, ma anche generi alimentari – di creare una sorta di facsimile in grado di rendere per lo meno tollerabile la sua permanenza sul suolo britannico.
I tentativi iniziali furono fallimentari: l’intento dei chimici era di conservare parte del lotto da vendere in negozio, ma la miscela di pesce, spezie e verdure aveva un odore così forte e nauseabondo che decisero di immagazzinarla in cantina, dove rimase per circa due anni. Un bel giorno, complici le pulizie di primavera, tale lotto venne riscoperto: grazie all’invecchiamento in botte la disgustosa miscela s’era trasformata in una salsa meravigliosamente aromatizzata, che una volta imbottigliata divenne rapidamente l’oggetto del desiderio dei clienti a Worcester. Il duo però non si fermò certo alla propria città natale, e prese a convincere i capitani delle navi passeggeri britanniche a includere la loro invenzione – che intanto s’era guadagnata una certa fama nel Regno Unito – nei condimenti presenti sul tavolo da pranzo degli ospiti. La salsa Worcestershire si trasformò così in un punto fermo della cucina inglese, perfetta per condire le succulente bistecche, ed emigrò rapidamente in tutto il mondo fino ad arrivare negli Stati Uniti, avvolta da una carta di protezione che (guarda caso) conserva tutt’ora. Nel 1939, l’imprenditore newyorchese John Duncan fiutò l’opportunità, e ordinò una cassa di salsa Worcestershire direttamente a Lea & Perrins per testarla sui palati americani: in pochissimo tempo Mister Duncan dovette richiedere intere navi cariche di salsa, ché gli yankees erano impazziti e lui, poveretto, non riusciva a star dietro alla domanda. Fun fact: quello di Lea & Perrins rimane il più antico condimento in bottiglia commercializzato negli Stati Uniti, che però – rispetto all’originale – utilizza l’aceto bianco distillato e presenta una quantità superiore di zucchero e sodio.
Nel 1845 venne fondata una fabbrica con i sacri crismi in Bank Street, a Worcester: nell’arco del decennio successivo Lea & Perrins avrebbero venduto più di 30mila bottigliette di salsa all’anno, e non avrebbero esitato a promuoverla anche come tonico per la salute, «grazie alle sue proprietà stomatiche e digestive». Benché fosse originariamente un marchio registrato, gli imitatori non tardarono ad apparire sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, il che costrinse i due chimici ad apporre il famoso Lea & Perrins Signature ® sull’etichetta nel 1875, così da garantire ai clienti di riconoscere l’originale. L’anno successivo, però, l’Alta Corte di Giustizia britannica decretò che Lea e Perrins non possedevano diritti sul nome Worcestershire, regalando di fatto un lasciapassare ufficiale a chiunque stesse preparando una miscela simile con un nome simile.
A ben pensarci, esistono disgrazie peggiori: i due ormai ex-farmacisti erano ricchi sfondati, e stavano vivendo il sogno. Un sogno che odorava di pesce fermentato, ma questo in fondo è solo un dettaglio. Chissà se si sarebbero mai immaginati che, dopo più di cent’ottanta anni, la loro salsa Worcestershire ci avrebbe aiutati ad aggiungere la giusta dose di umami ai banalissimi piatti che affollano la nostra quarantena. Non ci credete? Versatene qualche goccia nella classica, triste, insalata da pausa pranzo: non tornerete mai più indietro.