L’emergenza sanitaria colpisce anche il settore agroalimentare, in tutte le sue forme. Le aziende sono chiamate a un grande sforzo per garantire i prodotti alimentari alle catene della distribuzione italiana e internazionale e allo stesso tempo assicurare il rispetto delle norme nei propri stabilimenti.
Conserve Italia, una delle più grandi cooperative agricole attive nel nostro Paese, produce e lavora beni alimentari, e si è dovuto adattare: «Non potevamo fermare le nostre fabbriche, siamo tra le “attività essenziali e strategiche” alle quali il governo chiede di restare aperte per assicurare ai cittadini la fornitura di cibo e bevande», spiega a Linkiesta Pier Paolo Rosetti, direttore generale di Conserve Italia. «Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, abbiamo messo in atto tutte le prescrizioni impartite dal governo italiano e dalle amministrazioni regionali, sia nelle fabbriche presenti in tre Regioni italiane (Emilia-Romagna, Toscana, Puglia), sia nella sede amministrativa a San Lazzaro di Savena».
Negli stabilimenti è tutt’ora in atto il distanziamento delle persone di almeno un metro, l’annullamento di corsi, riunioni interne, visite dall’esterno e trasferte, oltre alla riorganizzazione del servizio mensa per garantire le distanze di sicurezza, la dotazione di dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti) ai lavoratori e la massima attivazione, nelle aree ove possibile, dello smart-working. «Tutte queste misure verrano attuate anche per la prossima campagna di produzione di quest’anno, perché fondamentali per i nostri lavoratori» sottolinea Rossetti.
Un piano emergenziale che ha permesso di non interrompere la produzione delle fabbriche, ma che non può fare a meno di confrontarsi con il collasso complessivo dell’economia nazionale. Conserve Italia è leader in Italia nel settore della trasformazione alimentare, associa 14mila produttori agricoli e lavora 600.000 tonnellate di frutta, pomodoro e vegetali in 12 stabilimenti produttivi, di cui 9 in Italia, 2 in Francia e uno in Spagna.
Con un fatturato di circa 900 milioni di euro, il consorzio dà lavoro in Italia a oltre 3.000 persone tra lavoratori fissi e stagionali e detiene marchi storici del made in Italy alimentare come Cirio, Valfrutta, Yoga, Derby Blue e Jolly Colombani. Tutti protagonisti della Gdo (Grande distribuzione organizzata) e del commercio con hôtellerie, ristoranti, barche e tutte le attività legate a doppio filo con il settore secondario, in questo caso l’alimentare, che al momento sono improduttive.
«Stiamo ragionando su come poter ripartire, facendo dei piani con i clienti per dare loro un supporto. Ci stiamo attrezzando per essere pronti ad fronteggiare le prossime campagne di trasformazione del prodotto, oltre al fatto che il nostro portafoglio ci permette di offrire una serie di servizi in grado di rispondere al fisiologico cambio di consumi e commercio», continua Rosetti.
Un esempio su tutti, sul versante della logistica il consorzio, per far fronte alle nuove misure precauzionali previste per gli autotrasportatori, ha incrementato il trasporto su rotaia in Italia ma soprattutto verso l’estero. «Stiamo aumentando in questi giorni i nostri carichi su rotaie – aggiunge il direttore generale – e già questa settimana tutti i pelati e le passate destinate al mercato tedesco sono arrivate per la maggior parte via treno». Con un risparmio, peraltro, di 5.600 tonnellate di CO2.
Per quanto riguarda il rapporto con i consumatori, il consorzio bolognese non si è fatto trovare impreparato. «Per ripartire ci sarà bisogno di rispondere in maniera adeguata anche al cambiamento nelle quantità medie di consumo. Mi spiego meglio: se prima, per esempio, un ristorante comprava un bag-in-box di pomodoro da 5 chili, da domani, se ne consuma meno, siamo pronti a modulare l’offerta per soddisfare le sue richieste. Grazie anche a un’elasticità delle linee produttive», chiosa Rosetti.
Un’elasticità che, con l’aggravarsi dell’emergenza, ha costretto l’azienda a intervenire anche sui turni di lavoro, impostando una rotazione in tutti gli stabilimenti, tale da ridurre sensibilmente la presenza contemporanea di più lavoratori nelle linee, negli spogliatoi e nelle sale mensa. Senza che questo abbia però inficiato sui ritmi di produzione, dettati dalla grande distribuzione.
«Visto che il consumo nella Gdo prima del virus si spostava verso formati piccoli, mentre adesso con il fatto che la gente resta e resterà più spesso a casa le tendenze potrebbero virare su un formato più duraturo, stiamo pensando di mutare la nostra capacità produttiva così da sostenere questa situazione d’emergenza e seguire la domanda di mercato», continua ancora il direttore generale.
L’azienda bolognese sta anche ragionando su come intercettare un nuovo canale di vendita, l’e-commerce. «Insieme ad altre aziende stiamo pensando a delle piattaforme per offrire il made in Italy. È un modello che stiamo già tenendo sul mercato inglese e, visto l’incremento degli ultimi mesi, anche qui in Italia potrebbe funzionare», prosegue Rosetti.
L’unico presupposto perché tutto questo si concretizzi, tuttavia, è la presenza dello Stato in forma di sostegno per il settore agricolo. «La cosa più importate è che possano essere dati gli strumenti per affrontare la campagna di trasformazione, fondamentale per l’intera stagione successiva 2020-2021. Avere gli strumenti significa anche avere la manodopera, ma sopratutto un contributo sicuro dal reparto agricolo», conclude Rosetti.