L’incubo ad aria condizionata. Adesso sta diventando molto più che una metafora, con la polemica se effettivamente gli impianti possano diffondere il coronavirus o no. Ma in origine fu il titolo di un libro di Henry Miller. The Air-Conditioned Nightmare pubblicato nel 1945, ma frutto di un viaggio che l’autore aveva fatto per gli Stati Uniti nel 1939, subito dopo essere tornato da 10 anni trascorsi in Francia.
Scrittore anticipatore della Beat Generation e per certi toni anche della contestazione No Global, Miller era stato creatore di una tipologia di romanzo molto personale. Uno sperimentalismo che frullando l’autobiografia con le strutture narrative tradizionali, il trattato filosofico, il saggio di analisi e critica sociale, l’utilizzo estensivo del flusso di coscienza alla Joyce, tecniche di scrittura automatica di matrice surrealista e una trattazione compiaciuta del sesso spesso oltre i limiti della pornografia ne tirava fuori un prodotto tale da a interessare contemporaneamente e la critica più raffinata e un tipo di pubblico più popolare. Henry & June, il film del 1990 che metteva in scena il triangolo tra Henry, la moglie June e Anaïs Nin, forse più famoso per le sue scene hot che come biopic.
Tipico esponente di quella generazione per la quale, dicendola alla Hemingway, «Parigi era stata una festa», Miller in America era dovuto tornare quando la raffinata Europa era stata di nuovo vittima dei demoni che l’avevano portata alla Guerra Mondiale.
Invece di respirare per lo scampato pericolo, però, in quel reportage ostenta disgusto per quella che percepisce come volgarità irrimediabile di un Paese che pensa solo alla tecnologie e ai soldi. «Quando salii sul ponte per dare la prima occhiata alla costa provai una immediata delusione», è quanto già spiega all’inizio del libro. «Non fui solo deluso, direi, ma veramente rattristato. La costa americana mi parve squallida e tutt’altro che invitante. Non mi piaceva l’aspetto della casa americana: c’è un che di freddo e di austero, un che di scoraggiante e desolato, nell’architettura domestica d’America. Era la casa: con tutte le sgradevoli, tristi, sinistre implicazioni che questa parola racchiude per un animo irrequieto. Aveva un’aria frigida e virtuosa che mi gelò fino all’osso».
Idealmente, a questo freddo a un tempo fisico e morale contribuisce l’aria condizionata, da lui considerata la massima icona di ciò che della società Usa non gli piaceva. Attenzione però: questo senso di estraneità derivava anche dal fatto che l’invenzione si era diffusa proprio mentre lui stava in Europa.
In effetti la ricerca dell’uomo di modi per proteggersi dall’eccesso di caldo è antica quanto la civiltà. Molti popoli realizzavano abitazioni sotterranee, gli antichi egizi mettevano canne bagnate alle finestre, una «trovata» del Mediterraneo è la tettoia di vegetazione stagionale davanti alla porta che rinfresca d’estate ma fa passare il sole d’estate, la disposizione delle finestre può poi creare correnti d’aria strategiche.
Ma nel 1886 il primo apparecchio per il raffreddamento climatico dell’aria fu brevettato da Lewis Latimer: un progettista che lavorava per il grande inventore Thomas Alva Edison. Nel 1901 Willis Carrier ideò un sistema che poteva funzionare in modo continuo, e che fu adottato nel 1902 per asciugare l’aria di una cartiera di Brooklyn dove l’eccessiva umidità rendeva spesso la materia prima raggrinziate e inutilizzabile. Data esatta: il 17 luglio.
Nel 1906 Stuart W. Cramer depositò un brevetto in cui si usava per la prima volta il termine «Air Conditioning», nel 1914 il primo impianto in una casa privata fu realizzato in una abitazione di Charles Gilbert Gates: figlio del tycoon che aveva fatto soldi con l’invenzione del filo spinato. E il primo volo climatizzato era stato fatto appena nel 1936.
Insomma, Miller, che era pure socialista, era partito da una America del 1929 che la grande crisi sembrava stare riportando per forza di cose a costumi di autosufficienza patriarcali di massa. Secondo quella utopia di tanti pionieri di cui era stato filosofo Henry David Thoreau, col suo best-seller sulla «Vita nei boschi».
Tornava in una America che grazie al New Deal si era ripresa dal disastro, proprio mandando milioni di persone a lavorare in catene di montaggio di colossali fabbriche regolate dall’aria condizionata, o in uffici situati in colossali torri di vetro anch’esse rese abitabili dall’aria condizionata.
Invece di essere contento per la ripresa, l’aveva trovata di cattivo gusto: insinua qualche maligno, forse perché in quell’America rampante le case editrici continuavano a respingere i suoi libri. E a chi spiegava che l’America era rimasta il solo avamposto contro il montare dei totalitarismo nazifascista e stalinista obiettava: «Anche noi abbiamo il mostro dittatore, solo ha tante teste come una idra».
Non solo Miller Henry, d’altra parte. Anche Miller Arthur. Drammaturgo per molti versi differente, ma anche lui critico del sistema Usa. Anche lui però pronto a mescolarsi alla cultura pop, fino a sposarsi con Marilyn Monroe. E anche lui autore di scritti in cui divide la storia degli Stati Uniti in prima e dopo la diffusione del condizionamento d’aria. In particolare, «Before Air-Conditioning» si intitola un articolo uscito sul New Yorker del 22 giugno 1998, in cui ricordava di quando era piccolo, «probabilmente il 1927 o il ’28», e durante una estate particolarmente soffocante aveva visto i newyorchesi che dormivano a centinaia sui balconi o sdraiati sull’erba del Central Park.
Ricordava anche il paradosso espressogli da «un signore sudafricano» secondo cui «New York ad agosto era più calda di qualsiasi altro luogo che conoscesse in Africa, eppure la gente si vestiva come in una città del nord. Avrebbe voluto indossare pantaloncini corti, ma temeva di essere arrestato per abbigliamento indecente».
In realtà, all’epoca del libro di Henry Miller l’aria condizionata si era diffusa soprattutto nei luoghi di lavoro. Arthur Miller spiegò che il suo rapporto col condizionamento in luoghi di abitazione iniziò negli anni ’60, e la proporzione di famiglie Usa con l’aria condizionata era ancora nel 1961 meno del 14%.
Ma nel 2014 era di oltre l’87%, già nel 1970 in Texas l’aria condizionata era stata adottata da più di metà della popolazione, e già nel 1980 gli Usa erano arrivati a consumare più aria condizionata che tutto il resto del mondo messo assieme.
Solo a Houston i 666 milioni di dollari che si spendono in aria condizionata ogni anno supererebbero il Pil di diversi Paesi. «La decima invenzione più importante del XX secolo» è stata definita l’aria condizionata dalla National Academy of Engineering.
Oltre a Henry Miller, tra gli antipatizzanti c’è lo storico Raymond Arsenault. «The End of the Long Hot Summer: The Air Conditioner and Southern Culture» è un suo saggio del novembre 1984 per The Journal of Southern History in cui accusa il condizionamento addirittura di aver distrutto la cultura del «Vecchio Sud» – peggio che i nordisti saccheggiatori della Atlanta di Rossella O’Hara – «influenzando tutto dall’architettura alle abitudini del sonno.
Soprattutto, ha contribuito all’erosione di diverse tradizioni regionali: isolamento culturale, agrarismo, povertà, romanticismo, coscienza storica, un orientamento verso la cultura popolare non tecnologica, preoccupazione per la parentela, vicinanza, un forte senso del luogo e un ritmo relativamente lento della vita».
Il fatto è però che da quel Vecchio Sud così romantico e accaldato la gente scappava, mentre nel nuovo Sud rinfrescato dal condizionamento la gente è tornata a abitare, e in massa. La costa del Golfo del Massico è passata ad esempio da mezzo milione di abitanti a oltre 20 milioni.
I detrattori dell’aria condizionata sottolineano i tremendi costi ambientali ed energetici. I sostenitori ribattono che la minor diffusione dell’aria condizionata in Europa basta a spiegare i 70.000 morti dell’ondata di caldo del 2003. In particolare anziani: che sono però ora la principali vittime del Coronavirus.
La cultura dell’aria condizionata ha reso possibili grandi templi della globalizzazione come i centri commerciali. Certo: ha anche portato in tutto il mondo alla sparizione di vari tipi di architettura tradizionale e caratteristica che erano stati inventati appunto per dare fresco.
In compenso, ha permesso l’orario di lavoro unificato in Paesi dove in passato la gente iniziava a lavorare all’alba per poi smettere quando il sole si faceva insopportabile, mangiare, fare una siesta, e riprendere il lavoro a pomeriggio inoltrato fino al buio. Non solo nel Sud degli Stati Uniti ma anche in Asia ciò ha portato a una rivoluzione della produttività da cui anche il miracolo di alcune «Tigri Asiatiche». Su tutte. Singapore.
Proprio dall’Asia è venuto il grande contagio che ha suscitato dubbi sul condizionamento. Per la verità, le Tigri lo hanno sostanzialmente evitato. Dell’aria condizionata è stato detto che aveva innescato il contagio di massa sulla Diamond Princess, da cui l’allarme generalizzato, e vari scambi di puntualizzazioni tra virologi e tecnici.
Gli uni spesso accusando gli altri di incompetenza, e viceversa. In effetti gli esperti già citati dai giornali giapponesi spiegarono che nella Diamond Princess – come nelle navi in genere – l’aria condizionata entra in ricircolo nella cabine dove gli ospiti sono costretti a trascorrere gran parte della giornata, mentre nelle cabine degli aerei l’aria passa attraverso filtri che consentono la rimozione di virus e germi.
L’Oms ha inoltre ricordato che il virus non viaggia nell’area esterna da solo ma viene trasportato tramite goccioline emesse da una persona infetta che tossisce: non quelle pesanti, che cadono a terra quasi subito dopo l’emissione, ma quelle leggere, che come aerosol possono viaggiare a distanza. Secondo vari esperti, i condizionatori che funzionano prelevando aria dall’esterno favorendo il ricambio aiuterebbero dunque a diminuire il rischio. Ma negli ospedali piccole quantità di virus potrebbero trovarsi nelle bocche delle prese d’aria.
Tutto sommato, il dibattito resta aperto. È probabile che nella narrazione dell’nuovo Incubo ad Aria Condizionata ci sia qualche esagerazione; ma le precauzioni non sono mai troppe. Per la Fase 2, dunque, viene preannunciato che gli impianti ad aria condizionata potranno funzionare solo se ciclicamente sanificati. Se no, dovranno rimanere spenti.