La fine dell’illuminismo americanoUn paese in ritirata politica cui rimane soltanto il primato tecnologico

Gli Stati Uniti hanno perso il compito di guidare gli altri secondo principi democratici, ma mantengono il primo posto nell’innovazione. Il risultato può essere solo un incedere sbilenco

Come sarà la situazione quando usciremo dalle nostre caverne e capiremo che, nel corso della crisi, gli Stati Uniti sono finiti a giocare un ruolo più grande che mai nelle questioni globali e, al tempo stesso, un ruolo più piccolo?

Il ruolo dell’America è diventato più grande perché la pandemia ha determinato un trionfo globale delle tecnologie digitali, che sono in gran parte americane.

E al tempo stesso si è ridotto perché, all’ombra dello slogan “America First”, gli Stati Uniti hanno scelto di rinunciare alla leadership politica globale, non solo per quanto concerne la pandemia.

Il trionfo del digitale ha dimostrato che l’America è ancora quel Paese tecnologicamente creativo di sempre, il Paese dei battelli a vapore di Robert Fulton, delle mietitrici di Cyrus McCormack, di Thomas Edison, di Henry Ford.

Ma l’America First ha messo in luce che, dal punto di vista politico, l’America non è più l’avanguardia dell’Illuminismo, cioè non è più il Paese che, già ai tempi della Rivoluzione americana, credette di sparare quel “colpo udito in tutto il mondo” e procedette, con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, a stabilire un ordine globale concepito per incoraggiare i principi che Ralph Waldo Emerson aveva in mente.

Camminerà zoppicando, allora, su una gamba più lunga – quella tecnologica – e su un moncherino amputato – la politica – offrendo splendidi aggeggi a tutto il mondo, ma nessun ideale particolare.

(Metà dei miei lettori staranno pensando, «su, gli ideali democratici sono sempre stati un imbroglio comunque, a differenza degli aggeggi, ed era ora di sbarazzarsi della vanagloria emersoniana!»).

(Articolo pubblicato in inglese su Tablet)

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