Ormai passati mesi dall’inizio della crisi, noto che alcuni miei amici che sono nel board di una piccola rivista hanno cominciato a litigare l’uno con l’altro con toni piuttosto sgradevoli, e perfino io sono riuscito a paragonare, con una certa sottigliezza, uno di loro a Stalin.
Un altro mio amico è invece a capo di un’altra rivista, alla quale di tanto in tanto provo a fornire indicazioni, se non fosse che, stavolta, uno dei miei consigli utili ha suscitato un’altra zuffa tra amici e collaboratori, stavolta sul tema della Guerra Civile Spagnola, con missili verbali degli anni ’30 che volavano a mezz’aria.
E ancora: ho notato che, in una altra rivista, perfino io mi sono trovato in mezzo a un litigio antipatico, stavolta sulle origini del coronavirus.
Ecco, io ci vedo uno schema ricorrente. Sei il direttore di una rivista? Ci conosciamo? Allora pioveranno botte!
Il fenomeno, però potrebbe non essere limitato alle riviste. Ho una profonda antipatia nei confronti dei manifestanti, qui negli Stati Uniti, che girano armati di pistole e sventolano bandiere confederate, ma suppongo che qualcosa, nel loro desiderio di far partire uno scontro, si debba riconoscere anche in me.
E ancora: vedo un’intervista Christine Lagarde, capo della Banca Centrale Europea, dove spiega che la sua maggiore paura sia la guerra. Quale? Non lo dice. L’intervistatore non lo chiede. Ma perché domandarlo? Alcune persone sono già impazzite, e adesso tutti stiamo impazzendo.
Detto in modo chiaro, alla prima malattia se ne sta aggiungendo un’altra. E anche questa ha cominciato a circolare.
(Articolo pubblicato in inglese su Tablet)