«Presto accendi, che c’è Borrelli». Per oltre due mesi quell’appuntamento a metà tra l’invocato e il temuto ha scandito le nostre giornate da isolati in casa. Un bollettino di numeri e raccomandazioni davanti al quale, sul divano e nelle chat, si accapigliavano commenti, giudizi e pregiudizi come neppure nelle più accese discussioni da bar sport.
«Accendi, c’è Borrelli» è diventato ben presto il titolo cult del nostro palinsesto pomeridiano, più atteso di “Uomini e donne” o “La vita in diretta” (e ci mancherebbe), con audience assicurata per ogni rete che rimbalzava la diretta.
Interrompendo i servizi delle all news, qualche minuto dopo le 18, ecco materializzarsi dalla sala stampa della Protezione Civile lui, Angelo Borrelli da Santi Cosma e Damiano (già, bisogna saper nascere nel luogo giusto perché di Protezione può servirne sempre).
Voce monocorde, nessuna inflessione né perdita di controllo, un malcelato imbarazzo nell’essere il notaio di un pallottoliere giornaliero che nessuno avrebbe mai voluto compulsare: «Purtroppo anche oggi dobbiamo registrare…».
Per lui, di mestiere revisore dei conti ma ormai da oltre vent’anni alle prese con terremoti, migranti ed emergenze varie, quasi un destino beffardo. Doverli contare, i morti, i contagiati e per fortuna almeno i guariti, redigendo bilanci da default come mai avrebbe immaginato tanti anni prima, appena passato l’esame di stato da commercialista.
Non si è fermato (quasi) mai, il capo del Dipartimento da quando, il 24 febbraio, è stato posto al centro di quell’affresco contemporaneo dai colori sempre uguali: sfondo marrone, maglione d’ordinanza, l’interprete della lingua dei segni alla sua sinistra, l’esperto a destra.
Solo qualche giorno di assenza a fine marzo, per una febbre fastidiosa cancellata insieme al tampone negativo e poi dal 17 aprile a fine mese solo il lunedì e il giovedì, dopo la scelta – probabilmente dettata dal Palazzo – di allentare il ritmo con un appuntamento bisettimanale, alternandosi con le apparizioni ben più muscolari del Commissario Arcuri, che a pensarci sembra anche questo il titolo di una serie tv.
Poi, dal 30 aprile, l’oblìo. Niente più bollettini, rarissime dichiarazioni, luci accese solo in ufficio, altro che quelle della ribalta dove in tanti si sono affannati a mostrarsi, stracciando anni di manuali di comunicazione istituzionale dove fin dalle prime pagine si legge che il messaggio deve essere per il cittadino e non per il proprio ego.
Un downsizing mediatico apprezzabile come il suo tono misurato, l’umiltà nel dare la parola al componente del Comitato tecnico scientifico di turno, loro sì diventati presto star, da Locatelli a Brusaferro, da Rezza a Richeldi. Ma il “dottor Borrelli”, spesso snobbato perfino dalle domande dei colleghi presenti a via Vitorchiano, non lo si è mai visto interrompere, polemizzare. E forse è anche per questo che ci siamo affezionati a lui.
Secondo le rilevazioni di mediamonitor.it, tra il 21 febbraio e il 4 maggio la top five dei più presenti su 22 emittenti radio e tv, ha visto Borrelli figurare al terzo posto, dietro Conte e Salvini, ma prima ad esempio del Presidente Mattarella. Una medaglia di bronzo per una faccia tutt’altro che scanzonata o desiderosa di visibilità che anche queste statistiche confermano come un compagno di avventura in questa sventura del quale difficilmente si riusciva a fare a meno.
E adesso? Cosa fa alle 18, ogni giorno, Borrelli? Non è morbosità né stalking, ma leggere il bollettino sul sito della Protezione Civile non è la stessa cosa. I numeri sono diventati freddi, anche se migliori di quei primi, terribili giorni.
Nel rutilante campionario di errori e apparizioni che ogni giorno ci attanaglia e alla vigilia di un ritorno collettivo alla vita scandita dal metro o due, scopriamo dunque che quell’Angelo ci manca. Perché si può essere attori protagonisti senza voler per forza sgomitare nel vincere l’Oscar.