Il messaggio è semplice: puntare sui giovani è essenziale per dare un futuro all’Italia. È significativo che la Milano Digital Week apra con l’intervento di Alessandro Rosina, demografo dell’università Cattolica di Milano e punto di riferimento quando si parla di nuove generazioni.
Perché se il coronavirus ha messo in discussione tutti i nostri punti fermi, portando inevitabilmente alla necessità di ripensare i modelli di sviluppo per il il Paese – in questo senso il festival è un’occasione per andare molto più in là della semplice riflessione sulle tecnologie – è proprio a partire da coloro che hanno più potenzialità che bisognerebbe ripartire.
«Dal neolitico fino all’inizio dell’epoca moderna, un quindicenne che guardava ai suoi genitori e nonni e al loro lavoro poteva immaginarsi la sua vita come diversa, ma aveva poche possibilità di riuscire a cambiarla», dice Rosina. «Oggi succede il contrario: la possibilità di cambiare il futuro è molto più grande che in passato perché molti obiettivi sono già stati raggiunti. Ma il futuro lo si immagina con difficoltà».
L’incertezza di non sapere dove ci si ritroverà di qui a dieci anni, infatti, è un fatto che rischia di produrre insicurezza e apprensione se non si hanno gli strumenti per comprendere il mondo e, quindi, influenzarlo. Eppure, da sempre le nuove generazioni sono destinate a salire sul palco, «dove le parti non sono solo redistribuite ma anche reinterpretate», dice Rosina. Sono attori fondamentali di una visione in cui il futuro dovrebbe sempre essere migliorabile.
Si tratta non solo di un bel pensiero, ma di una reale necessità. «I mattoni per costruire il futuro sono le nuove generazioni. Qui abbiamo tre problemi: ne abbiamo di meno per via della denatalità – siamo il paese con meno giovani in Europa. Ne sprechiamo di più – abbiamo il record di Neet, under 35 che non studiano e non lavorano. E ne cediamo maggiormente agli altri paesi perché diventino i mattoni per costruire la casa del futuro degli altri – abbiamo il più ampio divario tra laureati italiani che vanno all’estero e quelli che riusciamo ad attrarre», spiega l’esperto.
Cosa abbiamo guadagnato, in compenso? «Un debito pubblico record, tassi di crescita dell’economia bassissimi e una mobilità sociale inceppata. Dove può ritrovare l’Italia la possibilità di crescere, se non dal contributo attivo e qualificato delle nuove generazioni?», dice Rosina.
Eppure, le nuove generazioni sono state «lasciate in panchina» – secondo una metafora che Rosina utilizza regolarmente – a guardare sconfortate una squadra che giocava male. Fin dall’inizio del nuovo millennio, l’Italia è stata una sorta di Torre di Pisa che si vedeva crescere storta già dopo i primi due piani. Ciò nonostante, è passata alla storia come un simbolo e capolavoro del nostro Paese. Questo perché la si è resa stabile proseguendo la costruzione con un’inclinazione in senso opposto.
Lo stesso, dice Rosina, si dovrebbe fare con i giovani, «potenziando i loro percorsi formativi e professionali, abbinando al rialzo conoscenze e cultura umanistica, intelligenza artificiale ed emotiva, abilità manuale e attività creativa, innovazione ed esperienza». Proprio per dare loro gli strumenti di cambiamento ed emancipazione di cui necessitano.
Nulla di tutto questo è stato fatto. «Non prima della crisi del 2008, non all’uscita dalla recessione, e nemmeno adesso: gli under 40 sono i più inattivi sul fronte del lavoro nella fase due», spiega Rosina.
L’emergenza coronavirus, avendo messo in discussione tutte le regole del gioco (per tornare alla metafora calcistica), avrebbe potuto essere un’opportunità. «Si tratta non solo di capire come tornare in campo, ma di essere disposti ad adottare una nuova visione, con giovani non solo ben preparati, ma che cerchino e creino opportunità», dice Rosina. «Servono imprese che non considerino i giovani come manodopera a basso costo, ma come carburante per uno sviluppo sostenibile. Le aziende post Covid devono evolvere in fabbriche per trasformare la capacità di essere e fare delle nuove generazioni».
Solo così, dice uno studioso che da anni ripete che non c’è altra soluzione, l’Italia potrà avere vero benessere. Ma finora, non è stata che l’ennesima partita persa.