Fase 2 novembrePrenotare online la visita al cimitero è uno schiaffo al culto dei morti di Palermo

Chissà come la prenderanno nei quartieri popolari, all’Albergheria, a Ballarò, alla Kalsa, alla Zisa, perfino allo Zen, al Cep, a Borgo Nuovo, dove l’attenzione a rendere le lapidi lucenti tocca punte di fedeltà quasi messicana

I cimiteri di Palermo, città nominata «Felicissima» dai vicerè Spagnoli, saranno aperti su prenotazione online. Il sindaco, Leoluca Orlando, ne ha disposto l’apertura a partire da oggi, 4 maggio, «e sino a nuova disposizione, in applicazione a quanto previsto dall’Ordinanza Contingibile e urgente Presidente Regione Siciliana, n. 18 del 30 aprile scorso». E ancora: «Il Comune si era già preparato a questa riapertura graduale e contingentata, ed ora, alla luce delle decisioni assunte a livello nazionale e regionale, dà ai cittadini la possibilità di tornare a fare visita ai propri cari defunti».

Calma però, nessuno avvisi le prefiche, e neppure i dolenti trattenuti in casa si affrettino, perché «lo faremo con gradualità, chiedendo a tutti il rigido rispetto di norme di prevenzione e precauzione perché questo momento di grande intensità affettiva ed emotiva non sia fonte di pericolo per chi visita il cimitero e per i loro cari».

Palermo, si sappia, può contare su quattro cimiteri, compreso quello dei “Cappuccini”, attiguo alle Catacombe omonime, dove risiede, imbalsamata, quasi miracolosamente dormiente, la piccola Rosalia Lombardo. È lo stesso luogo che Francesco Rosi ha immortalato in “Cadaveri eccellenti”, rievocando infine l’uccisione del procuratore capo Pietro Scaglione avvenuta nel 1971 in via Cipressi, nel nome è la cosa. Su tutti, svettano però “Sant’Orsola-Santo Spirito” e i “Rotoli”, quest’ultimo affacciato sul mare, accostato alle asperità del Monte Pellegrino, da Goethe definito «il più bel promontorio d’Europa».

Sorto nel 1837 quando un’epidemia di colera rese insufficienti gli spazi altrove per accogliere le salme. Tra molti altri, lì ai Rotoli, riposa Franco Benenato, in arte Franco Franchi. Ancora va aggiunto il Cimitero di “Santa Maria di Gesù”, dove si concedono la Gerusalemme Celeste le famiglie in possesso dei quarti di nobiltà, ciò non significhi che le ceneri di Fulco di Verdura, duca, disegnatore di gioielli per Coco Chanel, dandy, autore di “Estati felici”, non possano trovarsi comunque a “Sant’Orsola”, dov’era anche Giovanni Falcone, prima che ne trasferissero le spoglie presso la Chiesa di San Domenico, il pantheon cittadino, non lontano dal generale Cascino, cui si deve il grido di sprone ai suoi fanti della Grande guerra: «Siate la valanga che sale!».

Costruito nel 1793 su indicazione del viceré Caracciolo, include la Chiesa del Vespro, dove si infiammò la rivolta contro gli Angioini nel 1282. Si sappia: primo cimitero d’Europa aperto a tutte le classi sociali. Sant’Orsola è il medesimo luogo dove riposano tutti i miei cari. Posso vantare visite alla tomba di zia Gilda, morta ventitreenne nel 1952, fin dall’infanzia.

Il ricordo che tuttavia mi è temporalmente più vicino riguarda i “Rotoli”, dove ebbe luogo la cremazione di mia madre; giù alla porta carraia, giusto per rassicurarci che il gasolio era stato nuovamente rifornito, un addetto così volle pronunciarsi: «Acchianàti, ca ddra supra arrùstinu!». Traduco: Salite pure, che là sopra stanno arrostendo. Meraviglie di Sicilia. Guai pensare che l’intento fosse derisorio: le salme come i “crasti”, cioè gli agnelli per le feste.

Anche Giuseppe Paviglianiti, personaggio televisivo reso celebre da Ciprì e Maresco insieme alle sue flatulenze, si trova laggiù, peccato che i suoi resti siano finiti nell’ossario comune a fine concessione dalla tomba a terra, poiché nessuno ha pagato un “fornetto”.

Come si può ben immaginare i palermitani vogliono bene ai propri morti, sarà pure un lascito barocco, e dunque la percezione dell’obbligo morale, secchio, scopa e fiori sottobraccio, è più che evidente, forse addirittura nella convinzione che i defunti non debbano essere lasciati soli, quasi stiano lì, impazienti, ad attendere i parenti, quando vengono sistemati i nuovi fiori nei vasi sembra di assistere a un gesto di scuse per le ripetute assenze. Il Giorno dei Morti ci si veste al meglio, come se si andasse a una prima del Teatro Massimo.

Immaginare che i suoi più fedeli frequentatori debbano ricorrere alla prenotazione online fa male al cuore, suggerisce un’idea ulteriore di esilio dei cari che ci hanno lasciato, chissà come la prenderanno nei quartieri popolari, all’Albergheria, a Ballarò, alla Kalsa, alla Zisa, perfino allo Zen, al Cep, a Borgo Nuovo, dove l’attenzione a rendere le lapidi lucenti tocca punte di fedeltà quasi messicana, il paese dove il culto dei morti si trasfigura in festa con le sue “calaveras”, i teschi.

Immagino, per esperienza diretta, provata il giorno in cui portammo a “Sant’Orsola” mio padre, l’inospitalità delle camere mortuarie, cataste di bare, la foto e il nome del defunto affinché non si faccia confusione tra i cofani, l’andirivieni smarrito dei parenti, il puzzo di cadavere e fiori su uno sfondo di piastrelle bianche. Un verso del poeta francese Boris Vian: «Non vorrei crepare prima di aver conosciuto il sapore della morte». A Palermo, nei suoi cimiteri, questo paradosso della percezione si compie. L’ossequio ai morti non aveva mai preteso la prenotazione obbligatoria.

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