«Alla luce di questi riferimenti, deve ritenersi che i “congiunti” cui fa riferimento il Dpcm ricomprendano: i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)». Dunque alfine il governo ha puntualizzato e sarebbe stato molto meglio se non l’avesse fatto. Niente amici, che «non rientrano tra gli stabili legami affettivi» che giustificano gli spostamenti, precisano le solite fonti.
Solo la cara vecchia famiglia. La famiglia nella sua più abietta e retrograda concezione; il vincolo dei legami di sangue, solo ammorbidito dalla concessione (?!) di poter incontrare fidanzate/i, compagne/i, conviventi – e autorizzare i conviventi a vedersi ha davvero del tragicomico. Mantenendo tuttavia la distanza di un metro, of course.
Come all’oratorio – quelli divisi in sezioni femminile e maschili – dove ci si poteva vedere solo durante la preghiera del pomeriggio, oppure, clandestinamente, nei locali di una sacrestia, camera di decompressione che separava le due ali, teatro dei tenerissimi tentativi di avvicinamento tra giovanissimi innamorati.
Questa intrusione del governo nelle nostre vite affettive e relazionali, in una situazione drammatica, condizione che è un’aggravante più che un’attenuante, oltre che oscurantista è insensata. Oltre che, per l’ennesima volta, trascura la terza, importantissima variabile, oltre quella sanitaria e quella economica: quella psicologica. Siamo esseri fragili. Siamo esseri talvolta soli. Chi non ha famiglia né partner che potrà fare? Un dramma vero, consumato sulla pelle di tanti di noi con una nonchlance degna di una pessima serie TV distopica.
I legami di sangue hanno sempre significato qualcosa di irrinunciabile e vincolante per l’aristocrazia, per la chiesa, per i bigotti di ogni risma. E non è nemmeno questo il punto più assurdo di tutta la vicenda. Il divieto di incontrare le persone che sono per noi importanti cozza con ciò che sono diventate le famiglie oggi: divorzi, separazioni, figli che più o meno felicemente fanno la spola tra due coppie diverse e relative ramificazioni. Eserciti, di fronte ai quali – a volte i luoghi comuni sono tali perché veri – la famiglia è sempre più spesso quella che ci scegliamo crescendo e vivendo, non quella che ci è data dalla nascita o da un matrimonio.
È un editto medioevale. Non considera il diritto al disinteresse per il figlio di un cugino di secondo grado e per di più non considera che gli amici ce li scegliamo anche perché sono vicini a noi. Quanti di noi hanno legami più stretti con i cugini che con gli amici? Quanti di noi hanno accanto a sé più cugini di terzo grado che amici? Chi scrive non ha cugini a Milano; ne ho a Salerno, Stoccarda, Londra e Firenze. Vado a memoria, perché non li frequento. A Milano zero. Non ricordo nemmeno come si chiamano. È andata così.
Immagino, vedo, il risentimento di cognati antipatici, cugini noiosi che vorranno vederci (assetati di contatti, anche i meno desiderabili e ligi alle direttive che ci impongono di vederli, perché di questo alfine si tratta, non avendo altra scelta) e ci costringeranno a scuse ancora più elaborate di quelle usate per evitare i battesimi e le prime comunioni del figlio sudaticcio del cugino di destra.
Tuttavia il punto più assurdo e incomprensibile in questa escalation di nonsense non è nemmeno la cornice culturale nella quale è leggibile il provvedimento, cornice che sarà sfuggita ai nostri improvvisatori-in-chief, che dimostrano una volta di più di saper guardare un dito al microscopio e non la luna che il dito, disperatamente, indica loro.
È la ratio scientifica del provvedimento. Non pervenuta; il candidato stabilisca se è più pericolosa una cena fino a 10 persone con cugini con l’alitosi o una passeggiata al parco con l’amico del cuore. Anche i bambini lo sanno ormai. Se stai all’aperto, a distanza, il rischio si avvicina allo zero. Ma non il nostro governo, e nemmeno le sue numerosissime task-force – l’esercito dei cugini intelligenti del nostro inadeguato premier.
E così dopo essere stati serrati in casa per quasi due mesi la fase due diventa motore di ansia, ulteriore privazione e fiction sociale e non invece riscatto e responsabilizzazione. Restituisce un’idea dei rapporti affettivi e delle reti di solidarietà tra persone degna dei secoli bui. La mia famiglia sono le persone che amo. E se non voglio dirti chi sono ti devi fidare di me. Fine. Non sequitur.
Per non parlare della vertigine che ci prende se pensiamo alle persone che conosciamo che hanno più legami sentimentali o sessuali, ai quali hanno temporaneamente, dolorosamente rinunciato perché era giusto. Dovranno giustificare le loro abitudini sessuali e le loro motivazioni e necessità affettive? E a chi? Quanti e come ci controlleranno?
Non le vede il governo le truppe di italiani che ben felici dopo essersi scritti in fronte VADO DA MAMMA andranno dove desiderano – o meglio dove hanno legittimamente bisogno di andare? Vogliamo costringere la polizia a sommari controlli sul posto riguardo le infinite possibilità di legami affettivi che le nostre vite ci hanno portato ad avere?
Vogliamo ignorare il fatto che così come l’assurdo linciaggio dei poveracci che si facevano la corsetta, anche a questo giro – lo dice la comunità scientifica, tutta – il rischio è nei luoghi di lavoro (chiusi) e sui mezzi di trasporto (chiusissimi)? E se la fase due fallirà con chi se la prenderanno? Col tale che è andato a far l’amore con la sua amica che non vede da due mesi? Non fateci ridere che abbiamo pianto abbastanza.
Mai come oggi è tempo di essere contemporanei, che non vuol dire altro che prendere atto di quel che accade, stare nel presente e saper ricorrere alle risorse che abbiamo; innanzitutto affettive. Che un decreto decida per noi che un cugino è più importante di un amico è una scemenza di tali dimensioni che fa infuriare, legittimamente, chi ha patito più di altri la vita assurda alla quale ci siamo nobilmente consegnati. Alzi la mano chi non ha sofferto la mancanza vitale di una chiacchierata vis-a-vis con uno o due amici. Io sì. E alzi la mano chi ha sofferto per non aver potuto vedere la prozia.
E dunque lunedì mattina si organizzeranno prime colazioni con mamme e fratelli e subito dopo si andrà a trovare il migliore amico, la migliore amica, l’amante, la relazione non stabile ma preziosa perché potrebbe essere tutto quello che abbiamo. Di nascosto, aumentando così le possibilità che il contagio non si arresti. Bastava dire: con chi volete, ma all’aperto e in non più di tre o quattro e distanziati. Sarebbe stato bello, utile e ce lo saremmo meritato, perché abbiamo mostrato noi, semplici cittadini, di avere più senso di responsabilità di chi ci governa.