Raccontare una storia come quella di Cristian Manuel Perez è quasi un imperativo. Se non altro perché fa a pugni con la credenza comune sui cittadini di origini peruviane impegnati esclusivamente in lavori non qualificati.
Lui invece ha tre passaporti: classe 1976, padre peruviano, madre polacca nata in un campo di concentramento in Germania perché figlia di un ufficiale, è un medico rianimatore e anestesista.
In Afghanistan ha scritto la tesi di specializzazione, in Iraq ha lavorato negli ospedali da campo della Croce Rossa, e a Bologna è stato nelle terapie intensive con i malati di Covid.
Lo abbiamo conosciuto per una triste circostanza: la morte del padre, medico in pensione, contagiato mentre prestava assistenza nelle strutture per anziani.
Suo padre, Manuel Efrain Perez, è venuto a mancare il 20 aprile scorso. L’associazione di volontari di cui era presidente, la Fratres Mutinae, lo ha salutato con un minuto di ambulanze a sirene spiegate.
Mio padre lavorava con me nell’organizzazione dei corsi per volontari e prestava assistenza nelle case per anziani. In una di queste strutture, dove in quel momento c’era carenza dei dispositivi di protezione, si è infettato. I numeri verdi lo rimpallavano da un posto all’altro, nessuno parlava di tampone, nessuno ci diceva cosa fare o cosa non fare. Era un nuotatore, e questo gli ha permesso di combattere tanti giorni in rianimazione.
Come è stato possibile lavorare senza gli adeguati dispositivi di protezione?
Si diceva che fosse una banale influenza, che sì, dava un po’ di polmoniti ma, a meno di non essere cardiopatici, diabetici o con patologie importanti, non c’era da preoccuparsi. E noi abbiamo lavorato con quella mentalità lì, sia io che mio padre, così come tanti altri sanitari che si sono ammalati. Io stesso, lo ammetto, inizialmente ho continuato a fare il mio lavoro usando la mia mascherina chirurgica.
Poi le cose sono cambiate.
In corso d’opera la versione è cambiata, e ci siamo premuniti di caschi, di maschere con filtro, scafandri e ora usiamo quelli. Io non accuso nessuno, la medicina non è una scienza esatta e il virus è nuovo. Adesso cerchiamo di tutelarci.