Il segnale inaudito di Bruxelles segna, almeno potenzialmente, una sconfitta dell’ideologia di Visegrad che scommetteva tutto sulla inesistenza in natura di un soggetto sovranazionale europeo e che anzi vedeva in ogni conato europeista una minaccia alle singole identità statuali. Si tratta di un aspetto fondamentale del contrasto fra riformisti e reazionari, un clivage che ha dominato questo inizio millennio.
Da questo punto di vista, l’annuncio di Ursula von der Leyen rappresenta un colpo da ko. Si tratta di una grande novità politica (sempre che, va da sé, la politica della Ue tenga fede ai proponimenti), perché è una sconfitta di una precisa parte politica: la destra sovranista.
Alla quale non resta che fare buon viso a cattivo gioco. Dice a Linkiesta il ministro degli Affari europei Enzo Amendola che conosce benissimo lo stato dell’arte: «Ho parlato nei giorni scorsi con i miei colleghi di Visegrad e c’era molta condivisione del piano franco-tedesco. E molta attenzione da parte loro a confermare le risorse per le politiche di coesione».
Un rovesciamento che anche i sovranisti di casa nostra sono costretti a inventare. Le prime imbarazzate dichiarazioni sembrano addirittura volersi annettere la linea europea, anche se dietro le apparenze s’indovina come un recondito desiderio che la trattativa naufraghi, un sentimento che nel vocabolario della destra italiana un tempo si sarebbe definito “disfattismo”.
Certo è che in questi anni il gruppo di Visegrad ha esercitato una forte attrattiva soprattutto in Francia (lì trovando terreno fertile nello sciovinismo di estrema destra lepenista) e in Italia (qui confondendosi con il neo-nazionalismo di Salvini, “prima gli italiani”). Ecco perché la risacca dell’antieuropeismo trascina inevitabilmente con sé il racconto generale di tutte le destre europee, un racconto che va riscritto di nuovo e difficilmente dagli stessi autori: come potrà Marine Le Pen ostacolare una scelta europea che elargisce miliardi di euro a les français?
L’antieuropeismo è stato un mood di questi lunghi anni. I capi di Visegrad lo hanno impastato con altri ingredienti, anch’essi da relativizzare alla luce della pandemia, primi fra tutti l’intolleranza razziale e la ripulsa delle élite, un concetto che oggi deve fare i conti con una imprevista ripresa del loro ruolo, dalla élite degli scienziati a quelle economiche e politiche. Su questo ieri ha osservato con ruvidezza Massimo D’Alema, cogliendo però una verità: «Il populismo ha mostrato il suo volto, si potrebbe dire che è costato decine e decine di migliaia di morti».
Visegrad è stato il grumo duro della reazione in Europa. La difesa dell’interesse nazionale non è stata più legata al processo d’integrazione con i paesi occidentali e dunque allo stato democratico e di diritto, fino all’espropriazione del Parlamento da parte del leader numero uno nonché riferimento di Giorgia Meloni anche più che di Salvini, l’ungherese Viktor Orbán.
È possibile che gli “eredi” di Visegrad, in quanto a antieuropeismo, diventino a questo punto i “frugali” che contestano le misure dell’Ue. Al posto di paesi cattolici alla maniera integralista dell’Est, ecco che tocca a nazioni protestanti (a parte l’Austria) mettere in discussione quel principio di solidarietà e condivisione che è alla base del miglior europeismo: e d’altra parte l’Europa non passò mai veramente per il suo Nord.
Ma intanto la novità è che il Recovery fund potrebbe rappresentare davvero una rivincita della Storia. È possibile, anzi probabile, che qualcosa della enorme torta che Bruxelles sfornerà finisca a Varsavia, a Praga, a Bratislava. Persino a Budapest. Finirebbe così che ungheresi e polacchi dovrebbero ringraziare gli odiati “eurocrati” e le detestate Francia e Germania per averli aiutati a risollevarsi da una crisi economica che improvvisamente è piombata su una crescita, seppure non gigantesca, che durava da qualche anno.
Con la pandemia, tutti questi Paesi perderanno diversi punti di Pil, con il rischio di nuove tensioni sociali. Bruxelles in cambio dei denari potrebbe costringere Orbán a riaprire il Parlamento. Sarebbe il minimo, d’altra parte, portare assieme ai soldi un po’ di democrazia. Il vento di Visegrad è girato.