Gli articoli gastronomici più interessanti degli ultimi giorni, commentati.
The Sickness in Our Food Supply – The New York Review of Books, 12 maggio
Spesso con Michael Pollan si ha l’impressione che abbia la capacità di tirare le fila di uno specifico tema in modo ineguagliabile, sia per padronanza espositiva, sia per profondità di analisi. Non a caso stiamo parlando di uno dei più importanti giornalisti e scrittori gastronomici (ma non solo: il suo ultimo libro parla di LSD e affini) del mondo, autore di diversi bestseller. Questo articolo non fa che dimostrare quanto appena detto parlando della filiera alimentare americana, ma ovviamente il discorso può essere in buona parte valido anche per la maggior parte dei paesi del cosiddetto Occidente. Pollan dimostra come l’emergenza coronavirus abbia scoperchiato i punti deboli di un sistema alimentare fondato sull’accentramento e la concentrazione dell’industria alimentare, che implica iperspecializzazione dei singoli piccoli-medi-grandi produttori agricoli (capaci quindi di produrre solo per la grande industria), condizioni di lavoro misere in buona parte del settore, aumento dei rischi sanitari e perpetuazione di una dieta a dir poco scorretta. Come in molti stanno facendo nelle ultime settimane, si augura altresì che l’evidente debolezza di questo sistema, oggi più chiara che mai, spinga la politica del presente e del futuro a metterci un’enorme pezza: l’immagine degli agricoltori costretti a buttare via il raccolto o quella degli allevatori obbligati a uccidere milioni di capi di bestiame senza poterli macellare, mentre le code di fronte ai banchi alimentari si fanno sempre più lunghe, rende evidente la necessità di un intervento radicale, e si spera rimanga impressa a lungo negli occhi di legislatori ed elettori.
The world’s food system has so far weathered the challenge of covid-19 – The Economist, 9 maggio
Da un punto di vista molto diverso questo articolo racconta invece di come il sistema alimentare globale finora sia riuscito a parare i colpi di una crisi, anche in termini di approvvigionamenti, che si preannuncia tutt’altro che breve e passeggera. Riassumendo (ah, l’articolo è stato ripreso e commentato anche da Il Post): non è che là fuori è tutto rose e fiori, e probabilmente le contraddizioni verranno a galla in modo ancora più dirompente nei prossimi mesi, ma mentre le piccole economie produttive locali pagavano un prezzo salatissimo per il lockdown, gli imperi dell’industria alimentare riuscivano ancora a spostare tonnellate di cibo da un angolo del pianeta all’altro. Rimane da capire se questa capacità logistica reggerà, e se questo modello nel suo complesso non abbia comunque le gambe corte, come sostiene più sopra Pollan.
Spoiled Milk, Rotten Vegetables and a Very Broken Food System – The New York Times, 8 maggio
A puntare il dito sulle storture del sistema alimentare globale e a sottolineare la necessità di un suo ripensamento radicale su scala più locale e disintermediata ci aveva pensato qualche giorno fa anche Jennifer Clapp. Così chiudiamo il cerchio.
A cosa servono i ristoranti? La Repubblica, 13 maggio
Questo articolo potrebbe non essere visibile a tutti, nel senso che è protetto dal paywall di Rep:, ma se volete leggerne un assaggio i primi paragrafi si trovano su Medium. Tommaso Melilli riflette sul ristorante del futuro partendo dal passato e attraversando il presente, ma soprattutto mette sul piatto un paio di considerazioni che vale davvero la pena riprendere. La prima è che già precedentemente al maledetto coronavirus stavamo costruendo una società della solitudine e dell’isolamento: «Stavamo già lavorando, ogni giorno, da almeno trent’anni, per essere sempre più soli. L’aspetto che trovo più inquietante nella nostra reazione alla pandemia, è che non ci ha poi sconvolto più di tanto: perché, siamo onesti, eravamo pronti». La seconda riguarda il fatto che quando parliamo di ristorazione troppo spesso ci dimentichiamo che il cibo dovrebbe essere un aspetto importante ma in fondo secondario: al centro ci sono lo stare insieme, l’atmosfera di condivisione, la socialità. Più che la spinta a incontrare degli sconosciuti prefigurata da Tommaso, forse è il vivere il fuori di casa in modo conviviale, come permettevano di fare le vecchie osterie, in cui prima del cibo venivano il bicchiere di vino e la partita a carte.
Gli eroi dei supermercati in cassa integrazione – Internazionale, 8 maggio
Di questi tempi la retorica guerresca ha riempito le pagine dei quotidiani, dei siti web e delle nostre bacheche social. E anche il termine eroi è stato ampiamente abusato. Al punto che ci siamo ritrovati a definire eroi pure i lavoratori del settore del commercio alimentare al dettaglio, principalmente dipendenti di catene di supermercati. Salvo poi, come nel caso di Conad e Carrefour, metterli in cassa integrazione, forse approfittando della crisi coronavirus per risolvere alcune magagne precedenti. È questa la tesi di Fabio Ciconte e Stefano Liberti, che in questo documentato articolo evidenziano come, in un contesto di incassi aumentati per buona parte della filiera, alcuni giganti potrebbero aver sfruttato la situazione attuale a loro favore, mascherando da crisi degli ipermercati una necessità di tagli consistenti emersa già in precedenza.
Who Wins When Food Media Debate ‘Selling Out’? – Heated, 12 maggio
Articolo davvero molto interessante, soprattutto per chi bazzica l’ambiente del giornalismo e della critica gastronomica: qui Alicia Kennedy riprende la vicenda della recente diatriba Roman-Teigen (per sapere cosa è successo consigliamo quest’altro articolo comparso su Eater: What Exactly Is Going on Between Chrissy Teigen and Alison Roman on Twitter?), per disegnare un quadro critico e approfondito del settore. Il tutto con una tesi di fondo, secondo cui oggi ci sarebbe una frattura profonda tra chi parla di cibo senza riferimenti alle questioni etiche, e chi invece continua, come fanno ad esempio Michael Pollan, Mark Bittman e Alice Waters, a sottolineare la necessità di subordinare ogni approccio gastronomico a una riflessione sempre più urgente su temi come la sostenibilità e la giustizia sociale. I primi, che rifiutano il punto di vista etico, spesso lo fanno incolpando i secondi di elitismo, di escludere proprio il pubblico di massa che ha abitudini di consumo alimentare tutt’altro che etiche. Ma forse questo è solo un modo per giustificare il proprio silenzio su questioni che ormai sembrano essere diventate di importanza fondamentale.
Tips for Responsible Drinking, From 16th-Century Germany – Gastro Obscura, 13 maggio
Visto che di questi tempi stiamo tutti bevendo molto di più, o almeno così si dice, e visto che a conclusione di questa rassegna web vale la pena ammorbidire un po’ i toni, ecco un articolo che fa al caso nostro: Matthew Taub scrive a proposito di un libro uscito in latino nel 1536 e che insegna a bere alcolici con moderazione. Vi avevamo già invitato a farlo anche noi.