Edith SteinLa patrona dell’Europa sconosciuta in Italia

Mistica nata in Germania da famiglia ebrea, allieva del filosofo Husserl, convertita al cristianesimo, fattasi monaca di clausura a Colonia, deportata ad Auschwitz e morta nel campo di sterminio. Un libro di Lella Costa fa luce sulla santa

«È compatrona d’Europa perché sono stati scelti tre maschi e tre femmine, facendo attenzione anche alle diverse provenienze geografiche». Ma come, Lella Costa, persino per la scelta dei patroni salta fuori il sospetto di una pianificazione a tavolino, fatta con tanto equilibrio e poco sentimento? «Se anche fosse non lo troverei grave, anzi mi colpisce l’abbia fatto la Chiesa cattolica, in cui non sempre la figura femminile è valorizzata». Eppure, benché patrona d’Europa, pochi la conoscono. «Credo che neppure le gerarchie ecclesiastiche sappiano chi sono i patroni d’Europa. Neanche io conoscevo Edith Stein. Quando l’editore mi commissionò il libro la confusi con Gertrude».

Il libro che Lella Costa ha dedicato a Edith Stein, Ciò che possiamo fare, è una lettura laica e pop della vita e del pensiero della santa, non scritta da una studiosa ma da una donna di spettacolo. Che c’entra una “soubrette”, come Lella Costa si definisce, con una santa e mistica nata in Germania da famiglia ebrea, allieva del filosofo Husserl, convertita al cristianesimo, fattasi monaca di clausura a Colonia, deportata ad Auschwitz e morta nel campo di sterminio. Che c’entra una soubrette? 

C’entra il fatto che questa donna non solo ha trasceso la sua umanità, venendo ricordata come santa e filosofa, ma trascende anche gli ambiti della religione e della filosofia. «Via via che la conoscevo ho cominciato a capire, forse, cosa la accomuna non tanto a me, il che è irrilevante, ma alle tante donne – le “ragazze senza pari” di Shakespeare – che ho incontrato e provato a raccontare nel corso degli anni.

Da Antigone a Ecuba passando per Euridice, e poi Desdemona e Margherita Gauthier, Maria Callas e Marylin… tutte le donne dai molteplici talenti che hanno abitato, cambiato e cantato il mondo. Nel tempo del sogno – è Chatwin a raccontarlo – solo le donne sapevano orientarsi», scrive Lella Costa.

Edith Stein, per esempio, seppe orientarsi quando l’Europa navigava a vista. Il primo aprile 1933 è il giorno del primo boicottaggio nazista delle attività gestite da ebrei. Hitler è appena diventato Cancelliere e l’Europa crede ancora lo si possa addomesticare. Pochi giorni dopo Edith scrive al papa: «Santo Padre! Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno conquistato il potere… questo frutto dell’odio è germinato… Tutto ciò che è accaduto e continua ad accadere quotidianamente viene da un governo che si definisce “cristiano”.

Noi tutti, figli fedeli della Chiesa… temiamo il peggio per il prestigio mondiale della Chiesa stessa, se il [suo] silenzio si prolunga ulteriormente». Il Papa legge e manda ad Edith una generica benedizione. A luglio la Santa Sede firma il Concordato con la Germania a tutela dei cattolici tedeschi.

L’anno seguente, 1934, Edith diventa suor Teresa Benedetta della Croce. «Mi ha colpito che anche in ambiente ecclesiastico oggi venga ricordata come Edith Stein e non con il suo nome da carmelitana e santa. È come se quello che era prima della conversione e del martiro, questa personalità femminile singolare e molto forte, continui a prevalere», afferma Lella Costa. 

Andando con ordine, Edith nasce a Breslavia (allora tedesca, oggi in Polonia) da una famiglia ebraica. Gli studi filosofici da autodidatta la conducono all’ateismo. Nel 1911 inizia l’Università e due anni dopo si trasferisce a Gottinga attratta dalle teorie di Edmund Husserl. Si arruola come infermiera volontaria durante la Prima guerra mondiale. Si laurea con una tesi sull’empatia, nocciolo della sua riflessione filosofica anche negli anni a venire. 

A 25 anni raggiunge Husserl a Friburgo e diventa sua assistente. Vorrebbe insegnare all’Università, ma le viene negata l’abilitazione perché donna (la cattedra di Husserl, posto a cui poteva ambire, sarà presa da Martin Heidegger). Il suo orgoglio è ferito: da anni si batteva per il voto alle donne e il riconoscimento del ruolo femminile nella società. 

Nel 1921 si converte al cristianesimo, e comincia a tenere conferenze sulla condizione femminile e l’educazione delle fanciulle in giro per l’Europa: Praga, Vienna, Salisburgo, Parigi. Le leggi antiebraiche la costringono a dimettersi dal ruolo di lettrice all’Università. 

Nel 1934 entra nel monastero carmelitano di Colonia. Per proteggerla dalle persecuzioni l’ordine la trasferisce a Echt, Paesi Bassi (quel “carmelo di Echt” cantato da Franco Battiato su note e testo di Juri Camisasca). Con lei c’è la sorella Rosa. Nel 1942 vengono catturate e portate ad Auschwitz, dove moriranno.

Viene dichiarata santa nel 1998 da papa Giovanni Paolo II e l’anno seguente compatrona d’Europa. La santificazione viene giustificata con la morte nel campo di sterminio, fatta dipendere dalla sua testimonianza di fede. La nomina a compatrona invece spiegata con la sua vita spesa in diversi paesi del continente e col suo ruolo di ponte tra le radici ebraiche e il Cattolicesimo.

«La sua vita è un paradigma delle contraddizioni delle grandi figure femminili e dei prezzi che pagano per la loro ricerca di interezza e realizzazione di sé. In lei si vede la complessità e la sintesi faticosa e dolorosa che ha provato a fare della sua vita, cercando di tenere insieme tutto: le origini ebraiche, la filosofia, la nuova fede, i legami familiari», spiega Lella Costa. 

Un paradigma delle grandi figure femminili ma anche nell’Europa, forse per questo ne è patrona? «Può darsi. Se in lei l’idea di famiglia era forte, il problema dell’Europa forse è stato essersi costituita come famiglia senza aver prima fatto un percorso di reciproca conoscenza delle identità dei singoli paesi. Ma la sua figura può ispirarci anche nei problemi di oggi».

Sarebbe a dire? «Provare a lasciar fare alle donne. Le cose più sorprendenti vengono da paesi dove le donne sono al governo o dove la lettura di genere del mondo è considerata un punto di vista importante. Sono molto colpita dal fatto che in Italia, nell’attuale pandemia, tutta la comunicazione ufficiale, i ruoli paterni, siano gestiti da uomini. Le donne le ho viste solo nelle vesti di traduttrici nel linguaggio dei segni». 

Il femminile è spesso associato all’empatia, oggetto degli studi della Stein. «In realtà penso si sia occupata di empatia come cosa che le era ignota, che non conosceva bene. La sua stessa conversione rivela il suo approccio: prima studiò, poi chiese di essere battezzata. Come se il passaggio razionale fosse l’unico modo che le permetteva di compiere delle scelte. C’era in lei una certa rigidità, persino forse un eccesso di orgoglio».

In cosa quindi un governo femminile è diverso da uno maschile? «Due premesse. Primo: nei paesi dove esiste una parità di genere, questa non nasce da una politica meno discriminatoria ma da una maggior familiarità con la meritocrazia. Poi credo esista nel femminile una maggiore propensione a occuparsi degli altri, farsene carico, che è stata sfruttata ignominiosamente per secoli». 

«Detto ciò, la visione femminile dà una capacità di semplificare e rendere forse meno appetibili ma più funzionali tanti aspetti della vita pubblica. Credo che il modo femminile di concepire il bene comune, la cosa pubblica sia molto più vicino al buon governo del modo maschile».

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