Sugli appalti pubblici, gli approcci contrastanti sono riconducibili a due diverse e strumentalmente opposte scuole di pensiero: chi vede solo corruzione e chi vede solo complicazioni, lacci e lacciuoli.
Ci sarebbe una terza posizione, e cioè quella che collega complicazioni e lacci all’esito finale corruttivo, ma chi ama la rapsodia di commi, codici e codicilli, non ci bada.
Graziano Del Rio, in una intervista a La Stampa, si schiera nettamente col primo partito, quello degli appalti uguale corruzione. Non c’è “eccesso normativo” da superare, c’è solo “eccesso di corruzione”. Già questa è una pietra tombale sul cambiamento, da cui fa scendere una opinione altrettanto lapidaria: «dire che quel codice ha bloccato le opere è pura demagogia». Alleato oggi dei demagoghi di professione, sembra insomma che veda le cose con gli stessi occhi da cerbiatta di Virginia Raggi, che le Olimpiadi di Roma le ha cancellate a prescindere.
Non è comunque il viatico migliore per andare al decreto “semplificazione” di cui parla Conte, promettendo a Renzi grande attenzione ai cantieri da sbloccare. Il timore che ne venga fuori una mezza cosa, il solito vorrei ma non posso, è fondato.
Per Del Rio andrebbe bene. La sua creatura, il “nuovo” codice degli appalti del 2016, che doveva risolvere i problemi del precedente, secondo lui è una buona ricaduta delle leggi europee. Con quello, gli appalti crescevano (era la congiuntura economica positiva del 2018?), mentre ora, ad essere lenti, sono gli appalti semplificati. E’ già un progresso, prima erano immobili.
I nemici individuati da Graziano Del Rio sono due, entrambi ben noti. Il primo è Berlusconi, con le sue leggi obiettivo, che produssero poco, forse perché affidate ad una delle tante stelle filanti della società civile, tale Lunardi – improvvisazione e conflitto di interessi – ma già vent’anni fa segnalavano un problema, che la legge del 2016 ha per l’appunto lasciato intatto. Il secondo è, bella scoperta, la burocrazia.
Il modello Genova secondo del Rio non esiste, o meglio è unico, solo perché Piano non si è fatto pagare il progetto. Si è anche “lavorato giorno e notte, le pare replicabile?”. Verrebbe voglia di rispondere di sì: giorno e notte, visto che si sta profilando occupazione né diurna né notturna.
Del Rio abolirebbe se mai il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), che è oggettivamente un collo di bottiglia, ma a quel livello, la responsabilità è totalmente politica, quindi i soliti burocrati non c’entrano. Basterebbe la famosa “volontà politica”, che non dovrebbe mancare, salvo farsi inseguire dai forconi.
Nessuno sostiene che la questione appalti sia semplice e il ginepraio è molto folto anche per iniziativa dei tanti che vogliono cancellare la miracolosa stesura dell’ex ministro dei Lavori pubblici, che ha addosso tutti, dall’Autority alle categorie produttive. Unici difensori di ufficio i sindacati.
Ma forse il problema vero è Del Rio stesso, che infatti ogni tanto interroga se stesso, ultimamente in una finta intervista in prima pagina del Corriere in cui, con un soprassalto di consapevolezza, si chiede mica poco: se il Governo abbia un disegno, un progetto. Con la sua aria paciosa di padre di famiglia (numerosa, auguri), sembra l’incarnazione del buon senso e trae in inganno. Sotto sotto è un estremista di centro, che vuol farsi voler bene a destra e a sinistra. Categoria politica pericolosa.
Nel suo curriculum, oltre a questo codice infelice, c’è l’infausta abolizione delle Province, che ha portato iella al referendum, e la spettacolare trattativa sul programma di governo dell’agosto 2019, durata in varie riprese un paio d’ore. Doveva fare a pezzi un “contratto” di 40 pagine che era costato sudore a Crimi e Salvini. Ma si dimenticò di dire qualcosa sui decreti immigrazione, sulla prescrizione, su quota 100, sulla riduzione dei parlamentari ed altre splendide leggi transitate intatte dal Conte 1 al Conte 2. Tutte rimaste sul groppone del PD, grazie alle sue straordinarie doti di mediazione.