Teatro della menteCosì sono i pensieri degli amanti al risveglio, quando pensano di essere soli

“L’infinito di amare” (La Nave di Teseo), di Sergio Claudio Perroni, opera postuma, racchiude il piacere assoluto di scrivere della resistenza umana. Qui sotto, la lettera della moglie

Unsplash
Mail di Sergio Claudio Perroni a Elisabetta Sgarbi
22 maggio 2019 ore 02:09
Cara Elisabetta, ti propongo due libri. Il primo, Sotto un mare di cielo, è costituito da 14 mie fotografie corredate da altrettante prose poetiche. Il secondo, L’infinito di amare (Due vite, una notte), è uno strano romanzo in cui succedono solo i pensieri di due amanti al risveglio. Grazie, ciao.

Sergio ha cominciato a scrivere questo testo circa trent’anni fa. Il primo nucleo era costituito dai due estremi Oggi e Domani; «Così, solo per il piacere assoluto di scrivere, senza pensare a niente», mi disse porgendomi una manciata di fogli, un giorno di mezza estate di undici anni fa, al tavolo di un bar.

Mi spiegò che c’era anche una parte centrale, «ma è sempre in fieri, pur non essendola». Il ritmo mi ricordò quello di Wislawa Szymborska; in seguito scoprii essere la sua poetessa preferita.

«Tu sei la mia seconda preferita» mi disse puntandomi addosso quel suo sorriso bello, bello perché sembrava sempre accadere per caso e aprirsi – illuminandolo – su un viso assorto e austero, e fece anche un gesto, che poi diventò familiare fra noi: sapeva far sentire unica una donna, lui; e dalla metà degli anni settanta in poi ha fatto sentire uniche tante donne.

L’infinito di amare è stato per Sergio un luogo sicuro, e caro, in cui custodire cose che gli dispiaceva perdere. L’infinito di amare risponde a quel suo pensiero così tante volte espresso: «Scrivo solo del teatro della mente e della resistenza umana».

È la dimostrazione della sua passione per la bellezza e il rigore della lingua; è la prova della sua brillante capacità di descrivere e raccontare i movimenti dell’anima, e di seguirne la traccia fino in fondo.

Un giorno d’inverno di circa sei anni fa, si stava a ridosso del Natale, aveva portato in casa un vaso con una stella di natale (che resistette, fiorendo, fino a primavera), e mi lasciò sul divano un blocco pinzato di un centinaio di fogli, era l’intero Infinito di amare.

Gli dissi che era ostico. “Che cagacazzi…” mormorò tra il serio e il faceto; era il suo modo solito di edulcorare la delusione. Non ne parlammo più. Sul suo diario perpetuo, in un tempo recente di commissari e notai, ho trovato un appunto: «Abbandonato l’Infinito perché Cet lo trova ostico». Se fosse stato qui, gli avrei detto sorridendo amaro: «’azz’… fa quasi metafora».

Gliel’ho detto lo stesso, convinta come sono che ascolti.

A marzo 2019, Sergio ha ripreso questo testo, ci lavorava nelle pause di traduzione. Il sabato mattina del 25 maggio di un anno fa, uscendo dalla doccia, mi disse: «Penso che adesso l’Infinito va bene. Ho messo anche la dedica per te. Forse non lo pubblichiamo, ma per noi è già pubblicato».

Poi mise su il caffè e Can’t take my eyes off you nella versione di Frankie Valli.

(A Elisabetta ed Eugenio, sempre, ogni cosa, due volte. Grazie).

Cettina Caliò Perroni

 

da “L’infinito di amare. Due vite, una notte”, di Sergio Claudio Perroni, La Nave di Teseo, 2020, 13 euro

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