Nel 1956 Charles Van Doren, figlio d’un accademico americano e nipote d’un premio Pulitzer, partecipò a un gioco a premi in onda sulla Nbc. Forse conoscete la storia, Robert Redford nel 1994 ne fece un film, Quiz Show: poiché avere il ragazzo colto di buona famiglia funzionava per gli ascolti e piaceva agli sponsor, la produzione gli faceva avere in anticipo le risposte, acciocché restasse campione.
Nel 2008 fu l’ormai ottuagenario Charles a raccontare sul New Yorker quella storia. Che c’è di male a truccare le carte, gli aveva detto il produttore, noi facciamo intrattenimento, Shakespeare faceva intrattenimento. O, come da sceneggiatura di Quiz Show: tutti sanno che il prestigiatore non sega davvero in due la valletta.
Charles Van Doren è morto l’anno scorso, quindi non posso chiedergli cosa pensi di Barbara D’Urso. O meglio: di noi.
Sono vent’anni che guardiamo i reality (negli anni 90 ci fu qualche esperimento di nicchia, ma il primo Grande Fratello in Italia va in onda nel 2000), e sono vent’anni che non risolviamo la nostra ambivalenza di spettatori.
Siamo contemporaneamente convinti che sia tutto scritto (nel paese in cui gli attori professionisti faticano a ripetere credibilmente un testo, ci pare plausibile che un concorrente televisivo che fino al giorno prima faceva il commesso o il cardiochirurgo sia in grado di recitare battute concepite da autori), e determinati a credere tutto vero.
Barbara D’Urso lo sa, ed è come sempre la più impeccabile portavoce dell’abisso che ci portiamo dentro. Quindi domenica ha fatto ciò che più ci sembra rilevante fare (sempre, ma soprattutto nei momenti di crisi): fare la morale alle stronzate.
Fornirò un briciolo di contesto, per chi non guardasse il Grande Fratello da decenni. All’edizione (Vip, come si chiamano quando i concorrenti hanno già una certa qual notorietà) di quest’inverno, che poi si è trascinata – come i matrimoni infelici tra gente che non può permettersi un divorzista – in edizione primaverile, concorrevano una tal Clizia (notorietà pervenuta: ha fatto le corna al marito con un attore) e un tal Paolo (notorietà pervenuta: figlio di due attori).
I due s’innamorano – sì, insomma: quello stato ormonale alterato di quando sei chiuso in casa come tutti quanti ma tu in più sei in diretta televisiva – e il loro amore resiste alle intemperie.
Per esempio, a quella volta a febbraio in cui Clizia, per insultare nessuno-ricorda-più-chi a proposito di nessuno-ricorda-più-quale-spregevole-azione, gli dice «sei un Buscetta».
Seguono processi in diretta, contrizioni, prediche: Pupo – quello di Gelato al cioccolato – la redarguisce premettendo «Tu puoi avere tutta la cultura che vuoi»; Clizia – quella che vive in un universo in cui nessuna parola sbagliata è solo una parola sbagliata, ma tutte sono occasioni per trovare un capro espiatorio e, anche oggi, sfogarci sui social, anche oggi col sollievo di non essere noi le lapidate del giorno – si profonde in scuse, in rimembranze della sua militanza antimafia di liceale (qualunque cosa significhi), in citazioni medie riflessive, da Sándor Márai a Nanni Moretti.
Poi lei esce, poi esce lui, insomma, come Shakespeare o il prestigiatore che sega la valletta avrebbero voluto, domenica si dovevano rivedere per la prima volta dentro al programma della D’Urso.
Senonché i due traditori della patria si sono incontrati prima (non esattamente di nascosto: per scattare un servizio fotografico per un giornale), Barbara D’Urso è venuta a saperlo, ha saggiamente previsto che i lettori (parlandone da vivi) avrebbero capito che domenica sera non era il primo incontro, e sapeva cosa volevamo da lei.
Che sembrasse prima nostra madre quella volta in cui sapeva benissimo che non eravamo andate a scuola ma voleva vedere quanto ci mettevamo a confessare («Da quant’è che non vi vedete?» «Tre mesi, sono emozionata come una bambina»); poi nostro marito quella volta che era tornato dal congresso in anticipo e aveva visto l’idraulico sgattaiolare fuori dal garage («Ripetetemi un po’, da quant’è che non vi vedete?»); finché i due – con in collegamento la madre di lui vestita da vedova di film di Pietro Germi – non hanno confessato, «Siamo due giovani amanti», ha detto lei tremebonda e vestita da demi-vierge, e la conduttrice magnanima non le ha ricordato che a ottobre compie quarant’anni.
Era l’una passata di notte, ma noi – il pubblico – siamo quel che siamo: senza più un corridore da insultare dalla finestra, senza più la forza di prendercela con le maestre dei figli che pensano che la didattica a distanza le umili come donne e come professioniste, senza più poterci sfogare nei gruppi Facebook dell’invadenza della suocera da cui ci protegge il distanziamento sanitario, non ci resta che correre su Instagram a insultare una che ha, santo cielo, visto l’amante prima di quanto la scaletta di Barbara D’Urso prevedesse.
Gli insulti potete leggerli ovunque: c’è gente che manda i figli alla scuola di giornalismo acciocché quelli poi facciano il mestiere di copincollare sui giornali gli insulti che gente ignota lascia sui social di gente nota.
Mentre scrivo, l’ultimo post su Instagram di Clizia, tapina, la vede ballare col suo «giovane amante» mentre indossa delle scarpe probabilmente prestatele da uno stilista, evidentemente di tre misure più grandi della sua. Sotto, la folla la giustizia, e di essi voglio citare solo uno, forse anch’egli lettore di Adelphi medi riflessivi, che le lascia scritto «ma ancora nn ti ai andata a nasconderti dopo la figura che avete riusciti a fare» (ausiliari e concordanze e ortografia come nell’originale).
Come non fosse stata abbastanza umiliante Barbara D’Urso che – vestita di viola, con le unghie pittate di viola, e alle orecchie due lampadari viola – dopo aver precisato che non la fanno fessa, li fa comunque procedere alla sceneggiata prevista: «se vi siete già visti io non lo so e non lo voglio sapere», su, incontratevi su questo letto a baldacchino ricoperto di petali, su una spiaggia, in diretta all’ora delle televendite, mentre la suocera collegata squittisce «Il talamo sulla spiaggia, che meraviglia!».
Per Shakespeare ci manca ancora un po’ di strada, ma la distratta crudeltà del prestigiatore che per sbaglio amputa la valletta l’abbiamo già abbondantemente superata.