Alcuni hanno paragonato il piano franco tedesco per una limitata ma decisa condivisione del debito necessario per finanziare il Recovery Fund da 500 miliardi, con l’epico scontro che oppose i padri dell’indipendenza americana, tra la visione federalista di Hamilton a quella confederale di Jefferson e Madison.
Di fronte al problema di gestire l’enorme debito generato dalla guerra contro la Gran Bretagna, Hamilton sosteneva la necessità di mutualizzare il debito degli stati a livello federale, anche per rafforzarne il ruolo, gli altri due, su spinta dei ricchi stati del Sud, Virginia in testa, propugnavano l’esatto contrario.
Alla fine, nel 1790, si arrivò a un compromesso.
Vinse Hamilton, concedendo agli avversari che la capitale federale fosse fissata a prossimità della cotton belt. Gli Stati Uniti d’America, mettendo alcune risorse fiscali in comune e mutualizzando i debiti, diventarono quello che sono.
Pur essendo lontani anni luce da un vero modello federale, è vero che il ballon d’essai lanciato da Angela Merkel e Emmanuel Macron ha più di un merito, oltre a quello – dato per scontato – di mettere in ulteriore imbarazzo i soliti sovranisti nostrani, costretti a penosi e francamente poco elevati distinguo, pronti a remare contro tutto ciò che sappia di maggiore integrazione europea.
Già, perché il loro problema è quello: più cresce il sentimento di un Europa “che fa”, e addirittura che fa per i paesi che più ne hanno bisogno, più la loro retorica va a gambe all’aria. Sono benaltristi-tristi: gufano, rosicano, tifano perché le cose si complichino, che sovvenzioni e prestiti non ne arrivino punto, per poter dire quanto cattiva è l’Europa.
Tornando alla proposta franco-tedesca, essa ha innanzitutto fatto chiarezza su quanto i due leader che, lo si voglia o no, hanno in mano le carte dell’Unione europea, pensano possa essere il futuro del progetto europeo. Limitarsi a nuovi prestiti, dopo quelli già messi in campo con il Meccanismo europeo di stabilità, la Banca europea degli investimenti e il programma Sure, non solo avrebbe mandato un cattivo messaggio alle opinioni pubbliche dei paesi che ne hanno maggiore bisogno, ma soprattutto avrebbe aggiunto debito pubblico a debito pubblico, compromettendo la tenuta del mercato unico e la stabilità dell’euro.
Per frenare le pulsioni della “banda dei quattro” (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia), oltre che l’altolà lanciato dalla Corte costituzionale tedesca alla Banca centrale europe, dalle conseguenze ancora imprevedibili, Angela Merkel, non senza ripercussioni interne al suo partito, ha dovuto gettare tutto il suo peso sulla bilancia, sapendo che inizia ora una partita che ruota attorno al suo ruolo di “decana” d’Europa, leader del paese più forte e influente, e che peraltro esprime la Presidente della Commissione europea.
La ribellione dei quattro, con il loro piano alternativo tutto basato sui prestiti, può essere letta come un esercizio tattico – non a caso Conte reclama ancora più risorse e anche la Commissione europea, parzialmente spiazzata dall’iniziativa, promette di puntare ad una proposta più ambiziosa – ovvero costituire la nuova linea di demarcazione fra due visioni dell’Europa, sul modello di quanto accadde sulle rive del Potomac.
Certo, i soldi non arriveranno “gratis”, come alla Befana. Tutte le proposte sul tavolo prevedono la necessità, per i paesi beneficiari di, «politiche economiche sane e di un’ambiziosa agenda di riforme». Ce ne dobbiamo preoccupare, gridare al lupo al lupo, o usarlo come un’opportunità per evitare ulteriori derive assistenziali?
Anche perché, vi sono tanti altri spunti interessanti nel documento del duo Merkel-Macron (quest’ultimo, abilmente, presentandosi come il campione “del Sud”): vi è l’idea di una sovranità europea in materia sanitaria, non a caso già evocata agli albori della costruzione europea negli anni ’50, ma poi mai messa in pratica, quella di nuove “risorse proprie” europee provenienti, tra le altre, dalla tassazione dei giganti digitali, quella, infine, di mettere mano ai Trattati.
“La Conferenza sul futuro dell’Europa sarà l’occasione per aprire un dibattito democratico sul progetto europeo, le sue riforme e le sue priorità”, affermano nel loro documento. Ma, di tutta evidenza, il vero punto è il prestito garantito da tutti per fornire assistenza ai paesi che ne hano più bisogno, come nel 1790. Su questo crinale si gioca la partita del Recovery Fund e, in prospettiva, l’intero progetto europeo.