Tra le conseguenze del coronavirus ci sarà la rinnovata propensione agli appelli degli intellettuali italiani? Sembra proprio di sì. Ieri un gruppo molto scelto di prestigiosi studiosi si è impegnato (eh sì, dell’antico engagement non resta ormai molto di più) in un intervento sulla scuola. Tema importantissimo, beninteso, e troppo spesso negletto nel nostro dibattito pubblico (per non parlare del bilancio).
A una veloce ricapitolazione, emergono solo due episodi maggiori: la riforma che istituì la scuola media unica, che vide direttamente coinvolto un filosofo come Luporini, e i coraggiosi tentativi di Luigi Berlinguer, in gran parte falliti, per l’opposizione dei sindacati ma anche di tanti intellettuali, disturbati, soprattutto gli universitari, nel loro rassicurante e comodo tran-tran.
Al di là del merito, su cui si possono avere opinioni diverse, Berlinguer portava avanti un’idea forte dell’istruzione, a tutti i suoi livelli, come elemento centrale dell’assetto istituzionale del paese. Idea forte che è poi sempre mancata, e tanto più manca oggi. Da questo punto di vista, dunque, non si può non concordare con i firmatari dell’appello: i confusi provvedimenti e interventi della ministra Azzolina non sono certo all’altezza del problema.
Allo stesso modo, non si può non condividere la preoccupazione per il ritardo nella riapertura delle scuole, che in altri paesi sembra essere una priorità mentre nel nostro sembra direttamente rinviata alle calende greche. L’atteggiamento è stato del tipo: togliamoci di mezzo almeno questo problema. E pazienza per le difficoltà organizzative dei genitori, o per le possibili carenze educative e psicologiche degli allievi.
Fin qui, dunque, i nostri prestigiosi intellettuali si allineano ai tanti che hanno protestato, o meglio alle tante: il problema (per vocazione di genere? per maggiore attenzione alla realtà?) è stato sentito soprattutto dalle donne, dalla ministra Bonetti alle donne del Pd che su questo si stanno spendendo.
Però. Però quando si passa ad argomentare sulla funzione e la natura della scuola, agli intellettuali scappa il freno. Non accorgendosi di ripetere banalità come la contrapposizione valoriale tra presenza e distanza, si attribuisce al ministero la prava intenzione di «dare superficialmente per assodata l’intercambiabilità fra le due modalità di insegnamento – in presenza o da remoto –», il che «vuol dire non aver colto il fondamento culturale e civile della scuola, dimostrandosi immemori di una tradizione che dura da più di due millenni e mezzo e che non può essere allegramente rimpiazzata dai monitor dei computer o dalla distribuzione di tablet».
Ora, che la tradizione della scuola duri da millenni è un’affermazione singolare, visto che le modalità, le tecniche, i ritmi dell’istruzione hanno conosciuto nel tempo mutamenti enormi, come in verità tutti sanno. Anche a prescindere dagli aspetti quantitativi e sociali, le lezioni peripatetiche dei maestri greci non hanno certo molto in comune con l’istruzione moderna, basata non solo sul rapporto presente tra maestro e allievi, ma anche, e forse soprattutto, sul libro.
E, per favore, il lavoro sul libro non è a sua volta da considerare “a distanza”? Che c’è di diverso tra un bambino che a casa studia sul libro e uno che studia al computer? (A parte, ovviamente, l’incomparabile superiorità tecnica dello strumento.) E in che cosa la “sudditanza ai motori di ricerca” è peggiore o più antieducativa della sudditanza al manuale, pure molto diffusa nella nobilissima scuola del passato?
E perché la scrittura a stampa – invenzione relativamente recente, rispetto ai duemilacinquecento anni di cui sopra – non viene considerata una rottura della tradizione? In conclusione. Non esiste la prospettiva “di una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale, sostituita da un’ulteriore generalizzazione e da una ancor più pervasiva estensione delle modalità telematiche di insegnamento”.
Esiste invece il fatto che le tecnologie disponibili hanno consentito – pur con gli inevitabili limiti di tipo geografico, sociologico, culturale – alla maggioranza dei ragazzi di continuare a lavorare con i loro insegnanti anche nel momento più difficile. Improvvisamente la scuola ha fatto un salto di anni. Bisogna continuare con più decisione su questa strada; certo, proprio rimettendo in questione il modello scuola, che ne ha molto bisogno.
I tablet non aboliranno i libri; se mai ne renderanno l’uso più facile e più flessibile. I motori di ricerca, se usati con la guida di un insegnante intelligente, possono sviluppare lo spirito critico e la capacità di confrontare le idee, che dovrebbe essere il primo obiettivo di un apprendimento efficace. Il pericolo non sono tablet e computer. Il pericolo, se mai, è che la pigrizia intellettuale ci faccia tornare indietro.