Molti hanno ironizzato sugli «Stati generali» solennemente annunciati da Giuseppe Conte in una delle sue rare conferenze stampa, osservando – come ha fatto ad esempio Alessandro Penati su Repubblica – che la prima volta quel grande processo di ascolto e coinvolgimento di tutti gli strati sociali finì con la decapitazione del sovrano che li aveva convocati.
Ma che gusto c’è a fare le pulci ai riferimenti storici di un presidente del Consiglio capace di ricordare l’8 settembre come l’inizio del miracolo economico (per giunta in un solenne discorso scritto appositamente per l’occasione, l’8 settembre 2018)? E poi, insomma, Conte sarà pure «un cittadino di buone letture» – informazione che accogliamo per autocertificazione da una sua recente intervista – ma è difficile immaginare che i riferimenti al 1789 nascano da una lunga meditazione sui libri di François Furet, maturata nelle poche ore rubate al sonno e alle dirette Facebook.
Gli stati generali, infatti, non sono solo un abusato luogo comune, ma sono anche, evidentemente, l’unico luogo comune presente nell’album dei paralleli storici e delle frasi a effetto a disposizione del Movimento 5 Stelle. Come dimostra il fatto che anche il fondamentale appuntamento para-congressuale costantemente evocato e sempre rimandato – quello, per capirci, in cui qualcuno dovrebbe prendere il posto di Vito Crimi al vertice del partito – sia chiamato allo stesso modo: gli stati generali. Generando tra l’altro non poca confusione anche nel più attento lettore di giornali, nel passaggio dagli stati generali delle pagine 2 e 3, in cui Conte convoca parti sociali, associazioni e «singole menti brillanti» (tra tutte, la minaccia che più mi atterrisce), agli stati generali grillini delle pagine 4 e 5, in cui Alessandro Di Battista dovrebbe convocare il suddetto Crimi, per ringraziarlo del prezioso lavoro e rimandarlo a dormire.
Più di tutto stupisce però lo stupore dei dirigenti del Partito democratico, che dovrebbero ben conoscere, ormai, il modo di procedere del loro «fortissimo punto di riferimento», eppure ancora si sorprendono per il modo in cui il capo del governo avrebbe lanciato la proposta degli stati generali, senza nemmeno avvertirli. Ma è facile intuire che molto più dei problemi procedurali e organizzativi tirati in ballo pubblicamente, a irritare di colpo ministri e dirigenti del Partito democratico sia stata l’apparizione, in un sondaggio di Skytg24, del partito del presidente.
Davanti ai loro occhi si è materializzato così lo spettro di una seconda fregatura, dopo quella che i democratici presero nel 2013, con Mario Monti e la sua lista, evidentemente senza imparare niente. Uno spettro di una certa consistenza – il 14 per cento – che ben spiega l’attivismo, il protagonismo e anche quel clima friccicarello da Francia pre-rivoluzionaria che per un po’ sembrava respirarsi a Palazzo Chigi. Grande festa alla corte di Conte, oggi è nata una lista in più.
E così, con scatto felino e abile mossa, il presidente del Consiglio ha pensato bene di appropriarsi di tutto il lavoro fatto dai vari consulenti, collaboratori, commissari e task force, per spenderselo personalmente in una sorta di grande kermesse politico-economica. E anche volendo solidarizzare con il Pd, davvero riesce difficile condividere il loro sconcerto per un simile comportamento. Chiunque, ma proprio chiunque se lo sarebbe potuto immaginare, per il semplice motivo che a Palazzo Chigi hanno fatto solo questo dall’inizio della pandemia, non preoccupandosi, e tantomeno occupandosi, d’altro che di una cosa: il più incredibile profluvio di interviste, interventi e conferenze stampa dall’invenzione del microfono.
La novità è che proprio la diffusione del sondaggio – e le voci, ovviamente smentite, sul fatto che Conte avrebbe addirittura già registrato il logo della sua lista personale – hanno rotto improvvisamente l’incantesimo. Se fino a ieri tutti facevano festa quando passava l’avvocato del popolo, e si sdilinquivano negli elogi, da qualche giorno l’atmosfera ha cominciato a cambiare. D’altra parte, la sindrome Monti prevede una meccanica precisa, scandita in tre passaggi che assomigliano molto alla famosa teoria di Alberto Arbasino sulle tre fasi della celebrità in Italia, solo che qui si parte da venerati maestri, e dopo un periodo più o meno lungo in luna di miele demoscopica, si finisce come al solito.