Bonomi, Bentivogli, Bonaccini, Gori, Calenda e oggi Scalfarotto ci indica Christian Rocca nell’editoriale de Linkiesta. Caratteristiche: tutti maschi e un po’ eco-indifferenti se non eco-scettici. Ma senza le donne, una marcata attenzione ai loro bisogni e uno spazio adeguato alla loro diversità e senza una robusta scelta di indirizzare l’economia italiana verso attività coerenti con gli imperativi di ridurre le emissioni e cambiare il modo di consumare, muoversi e abitare, non ce la faremo proprio ad evitare il baratro. Nonostante l’indubbio prestigio di questi personaggi (e di molti altri altrettanto in ascesa).
Non è uno scoop dire che nella società e nella politica in Italia si vedono pochissime figure femminili a posti di leadership. Eppure le donne ci sono e molte, basta cercarle, perdendoci magari un po’ di tempo in più che fermandosi al primo talk show.
Questo è un problema certo per l’economia e la società ma soprattutto per le donne, dato che gli uomini non se ne preoccupano per nulla. Personalmente, non credo che le donne siano per forza migliori che gli uomini. Ma portano sicuramente altri metodi ed esperienze, un’altra sensibilità e soprattutto sono la metà dell’umanità. Io penso che in Italia sia necessario che soprattutto le donne si rendano conto che la situazione in Italia è talmente pessima anche dal punto di vista culturale, che senza la ripresa di una vera e propria azione di emancipazione e rivendicazione femminista 4.0 non credo che la situazione cambierà.
E senza impegni chiari su quote obbligatorie per i luoghi di leadership nella politica, nei posti di comando ma anche nei media e nelle conferenze (“no woman no panel” recita un famoso slogan) ci vorranno alcuni secoli prima di riuscirci. Contrariamente a quello che scrive Flavia Perina, le quote non sono per nulla un paravento in Italia, dato che non sono applicate da nessuna parte se non nei consigli di amministrazione dove infatti ci sono oggi più donne.
Sono il metodo che è stato usato nei paesi più avanzati per rendere tanto abituale la presenza femminile da diventare normale e da non averne più bisogno: un organo dirigente senza donne o un dibattito senza signore non è proprio più concepibile. Purtroppo noi siamo più indietro e occorre prenderne atto. E non è un caso, forse, che tra tutti coloro che hanno contribuito al saggio “Italia 2030” presentato da Bonomi non ci sia che una donna, Agar Brugiavini, che tra l’altro co-firma il suo articolo con Carraro.
Ma il gruppetto di “speranze” indicate nell’editoriale di Christian Rocca ha un altro limite, imputabile a loro, a differenza che il loro genere. Bonomi nel suo discorso agli Stati Generali non ha neppure sfiorato il tema dei cambiamenti climatici e della sostenibilità come criteri chiave per orientare investimenti pubblici e privati e per cambiare l’industria italiana.
Ma è noto che Confindustria non ha attenzione né considerazione per i settori nonostante il fatto che la Green economy italiana è seconda solo alla Germania in Europa; sono settori che crescono nonostante lo scarso supporto e visibilità a numeri molto più spediti e meno sussidiati dell’industria fossile e che vanno dalle rinnovabili, all’efficienza energetica, alla mobilità dolce, al trasporto pubblico, ma anche la chimica verde o il made in Italy green.
Bentivogli ha lanciato varie intemerate contro l’auto elettrica perché prodotta all’estero (eh normale, visto che la FIAT si è sempre opposta e ha chiuso decenni fa la sua ricerca in verde), definendola come una “moda” e considera una totale fandonia la prospettiva di una “decarbonizzazione” dell’ILVA. Bonaccini, bontà sua, è, come la sua collega ministra De Micheli (donna, ma affetta da una totale mancanza di sensibilità verde), a favore di tutte le autostrade, non importa se inutili perché il traffico non c’è e ce ne sarà sempre meno; la sua regione è da sempre poco sensibile al problema del consumo di suolo e Bonaccini è stato il primo a ergersi contro la piccola tassa sulla plastica, battaglia per ora vinta ma che si scontrerà l’anno prossimo con l’obbligo di fare piazza pulita della plastica mono-uso imposta dalla UE.
Quanto a Carlo Calenda, oggi Parlamentare europeo incaricato di redigere un importante rapporto sul gas che ci preoccupa parecchio, è da sempre legato ad una visione dell’industria e dell’economia che prende molto sotto gamba l’impatto devastante dei cambiamenti climatici e considera un “bluff” il Green Deal europeo, certo non scevro da debolezze, ma pur sempre una delle poche visioni di futuro serie in circolazione. Non è un caso che la sua Industria 4.0 non faccia distinzioni fra le filiere da sostenere e quelle da accompagnare all’uscita.
Quanto a Gori, al netto di alcune azioni un po’ timide su mobilità e inquinamento d’aria, ha sempre avuto un atteggiamento prudente e “realistico” rispetto ai temi della transizione ecologica. Insomma, il punto vero è che nessuna di queste “speranze” ha alcuna particolare sensibilità per quella che è oggi la più grande opportunità di trasformazione reale e in meglio dell’economia ma anche del lavoro, delle città; e soprattutto nessuno crede davvero che con quei temi si possa davvero attirare consenso e che quindi valga la pena scommetterci.
Su questo, ahimè, hanno purtroppo abbastanza ragione. Ma temo comunque che se non verranno al più presto mobilitate altre speranze più verdi e rosa nel baratro rischiamo di caderci davvero.