Il mestiere degli ultimiIl Covid ha peggiorato la vita dei freelance del giornalismo e della comunicazione

Il sondaggio di Acta e Slow News fa emergere un quadro desolante. Sui liberi professionisti sottopagati e senza garanzie si è abbattuta anche la scure del virus. Ora il lavoro è ancora più precario e instabile ma una speciale partnership vuole unire i loro sforzi

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Istruiti, con competenze variegate e assolutamente, irrimediabilmente, precari. Guardare al mondo dei giornalisti e dei comunicatori significa fare i conti con una categoria di professionisti che non sembra avere via di scampo, dal punto di vista lavorativo. Irrinunciabili e, allo stesso tempo, superflui in termini contrattuali: se non ci sei tu, ci sarà sempre un altro.

È quanto emerge dal sondaggio “Uniti contiamo, contiamoci insieme” di Acta, l’associazione dei freelance, e Slow News, il primo progetto italiano di slow journalism, con il sostegno di Irpi e Fior di Risorse-Senza Filtro, sulle categorie dei freelance dell’informazione e comunicazione. Una ricerca che, sottolineano i promotori, non ha pretese statistiche, poiché il campione non è da considerarsi rappresentativo. Ma il quadro che emerge è chiaro, in linea con le ricerche di questi anni.

Questo il contesto: nel 2017-2018, su oltre 40mila iscritti alla cassa previdenziale Inpgi per i giornalisti, poco più di 15mila erano inquadrati con un contratto a tempo indeterminato nelle redazioni di giornali, radio e televisioni. Oggi, la situazione è ancora peggiore. Anche per via del coronavirus.

Nella comunicazione, invece, si stima che, al 2019, siano oltre 10mila gli addetti stampa e comunicatori presenti in Italia. Fra loro social media manager, esperti di marketing, consulenti editoriali e addetti stampa con competenze digitali avanzate: competenze e ruoli che spesso si mescolano e si sovrappongono fra loro.

Il sondaggio entra a piè pari in questa realtà raccogliendo 609 risposte: 408 di giornalisti e 201 di comunicatori. Anagraficamente, dai risultati emerge come in questi ambiti operino soprattutto lavoratori giovani: il 44% dei rispondenti ha 30 anni, mentre solo il 14% è over 50. La maggioranza, poi, è donna, e la maggior parte (due terzi) è altamente istruita, con almeno una laurea magistrale.

Fra i giornalisti, oltre il 40% ha una partita Iva, mentre il 35% viene pagato con collaborazioni occasionali e diritto d’autore. Il 29% lavora con una sola testata, il 28% con due. Il 52% svolge solo la professione di giornalista, ma c’è anche un buon 41% che svolge altre attività, che sia per necessità economica, diversificazione del rischio o ricerca di varietà. Il 66% di loro viene pagato solo se il prodotto editoriale è effettivamente pubblicato. Le retribuzioni sono il tasto più dolente: il 68% porta a casa meno di 10mila euro lordi all’anno, mentre per un drammatico 42% le entrate annuali ammontano a meno di 5mila euro.

Fra i comunicatori, solo l’8% è specializzato in un’unica attività, e addirittura uno su quattro svolge più di cinque mansioni contemporaneamente. L’attività più diffusa (80%) è il social media management. Il 55% riceve un compenso fisso, il 35% in base alle ore di lavoro svolte e un altro 10% in base al raggiungimento degli obiettivi. Il 32% dei comunicatori guadagna meno di 10mila euro lordi l’anno, mentre il 25% riesce ad assestarsi fra 10 e 20mila euro.

Gli uni e gli altri sono accomunati dall’incertezza sul proprio futuro, soprattutto pensionistico: ben il 17% dei giornalisti (la percentuale sale al 67% fra chi non è iscritto ad alcun albo) non ha una cassa di riferimento dove versare i propri contributi; per i comunicatori questa percentuale è pari al 14%.

Ora, il Covid ha peggiorato la situazione: a fronte di un carico di lavoro aumentato durante l’emergenza, compensi già bassi sono ulteriormente calati, mentre si sono allungati i tempi di pagamento.

I promotori della ricerca hanno deciso di lanciare un progetto specifico, chiamato Acta-media, «una sezione specifica di ACTA che ha l’obiettivo di elaborare delle proposte e delle strategie per valorizzare il lavoro dei freelance della comunicazione in quanto freelance, senza inseguire la strada della stabilizzazione dei contratti, che comunque non sarebbe accessibile ai più», ha spiegato Anna Soru, presidente di Acta.

«In un momento così difficile come quello che stiamo vivendo, la crisi economica che ci apprestiamo a vivere colpirà duro soprattutto le fasce più deboli del mondo del lavoro e, nel nostro settore, questa fascia debole sono i freelance», dichiara la redazione di Slow News. «Per questo abbiamo organizzato questo sondaggio, ideato prima della crisi ma lanciato in piena quarantena: perché per unirsi e per agire serve contarsi, conoscersi, allearsi, ora più di prima».

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