L’edificio umbertino che prospetta sul Viale Trastevere fu tra primi palazzi edificati durante il Regno d’Italia con la specifica e razionale finalità di farne il Ministero della Pubblica Istruzione. Progettato da Cesare Bazzani su un’area costituita da un terreno demaniale di proprietà del Comune di Roma e da alcuni fabbricati del Banco di Napoli e della ditta Magazzini Generali Specchi e Cristalli, la prima pietra fu posta nel 1916. Fu inaugurato nel 1938.
«Exegi monumentum aere perennuius» avrebbe detto Orazio, ode pertinente poiché, conquistata la capitale naturale della Nazione, si voleva dare manifestazione architettonica e duratura all’espressione attribuita a Massimo D’Azeglio che, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, pare avesse dichiarato: «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani!»
Intento lodevole già perseguito da Dante e da Leopardi, anche se raggiunto, quale prima applicazione pratica, nelle trincee della Grande Guerra dove, per la prima volta, i giovani provenienti da tutte le regioni della Penisola si erano incontrati, conosciuti e patito insieme, esprimendosi con difficoltà in una lingua comune, fino ad allora sconosciuta alla maggior parte di essi.
Ma tant’è, il nostro è Paese di lodevoli intenzioni e tanto ci basti. Salita la scalinata che introduce nell’edificio, si accede al vestibolo colonnato, al cortile d’onore e da lì alle oltre 160 stanze disposte su più piani. Al piano nobile si trova il salone dei Ministri ove sono esposti i ritratti dei primi dodici titolari del Dicastero, dal 1861 al 1922: Gabrio Casati, Pasquale Mancino, Michele Coppino, Quintino Sella,Ruggero Bonghi,Guido Baccelli, Pasquale Villari, Vittorio Emanuele Orlando, Edoardo Daneo, Benedetto Croce, Giovanni Gentile.
Dodici come cifra simbolica della totalità? Carenza di maestri del ritratto? Damnatio memoriae per i successori? O riduzione del ruolo ministeriale, derubricato da eminentemente politico a banalmente burocratico?
Non è dato saperlo. È probabile che approfittando dell’impresentabilità dei ministri fascisti, la tradizione sia stata soppressa anche nell’Italia repubblicana. Degli altri ministri, infatti, tranne una sala intitolata ad Aldo Moro ed una memoria di Franca Falcucci, nessuna rappresentazione da tramandare ai posteri. Che sia questo il motivo per il quale la maggior parte dei titolari del Dicastero abbia affidato il proprio ricordo ad un profluvio di riforme spesso contraddittorie?
Nel mio personale “Palazzo della Memoria” proverò allora a dipingere i più significativi ritratti mancanti, per riuscire a raccapezzarmi sul motivo per il quale il principale compito di una democrazia, sancito nell’articolo 34 della Carta Costituzionale come diritto inalienabile e presupposto della sovranità popolare, si trovi oggi nella penosa condizione che conosciamo, connotata da approssimazione ed inadeguatezza.
Eppure, la missione è ancora leggibile sulla parete dell’anticamera del ministro: “Excogitare” “Docere” “Educare” “Servare”, quasi ad avvisare il neo titolare di turno ad attenersi a tali imprescindibili indicazioni: immaginare, insegnare, educare e conservare. L’ordine dei verbi non è casuale. Esso configura una ciclicità di grande attualità. L’immaginazione è posta quale prima condizione per ogni fertile progettualità. Profuma di futuro. L’insegnamento ne consegue come epifania del sapere proposto alle nuove generazioni e si accompagna all’educazione, distinguendo il ruolo proprio della formazione del carattere individuale e del comportamento sociale.
Vi si respirano umanità, solidarietà, carisma e competenza. La conservazione, intesa come preservazione dell’eredità culturale, si configura come possenti spalle di giganti solo dall’alto delle quali possiamo, nuovamente, “excogitare”. È il ciclo dell’esperienza umana che nella scuola diventa programma politico poiché mira a migliorare il presente ed a costruire l’avvenire.
I primi ministri della Repubblica dovettero far fronte all’analfabetismo, elemento che insieme ad altri ad esso collegati, dividevano (e dividono) il Paese. I dati li fornisce l’UNCLA (Unione Nazionale Lotta all’Analfabetismo) che fu fondata nel 1947 per fronteggiare l’incapacità del 13 per cento di italiani – dati del censimento 1951 – di saper leggere e scrivere. Incapacità dichiarata e quindi inferiore alla drammatica realtà, se si considera che il 59,2 per cento degli adulti a quel tempo non era in possesso di licenza elementare. Fu necessario excogitare, utilizzando la più importante risorsa inedita degli anni ’50: la televisione. Nel 1971 il tasso discese dal 13% al 5,20%.
Negli anni ‘50 e ‘60 furono ministri tra i più efficaci: Guido Gonella, Antonio Segni, Aldo Moro, Giuseppe Medici, democristiani, Gaetano Martino, liberale, Paolo Rossi socialista, Il principale frutto fu nel 1962 la soppressione dell’Avviamento e l’istituzione della scuola media con l’obbligo relativo. Ne conseguì un cospicuo abbattimento del tasso di analfabetismo.
Dalla fine degli anni ‘70 e per l’intero decennio successivo fu la volta dello scontro tra docere ed educare. Il maggio francese, la contestazione del ’68, il muro contro muro del ‘77, gli anni della Pantera, furono anni sismici per il sistema educativo di classe, accusato di essere nozionistico e poco formativo, governato da “baroni” e frequentato, soprattutto nelle università, da figli della borghesia, poco incline a guardare il mondo che stava cambiando.
Con la legge Codignola del 1969, ministro Mario Ferrari Aggradi, iniziarono gli anni dell’apertura delle aule universitarie a tutti i diplomati con un corso quinquennale e si istituirono forme di sostegno agli studenti meritevoli più bisognosi, in applicazione del dettato Costituzionale. Toccò ad Oscar Luigi Scalfaro, Franco Maria Malfatti, Sergio Mattarella e al repubblicano Giovani Spadolini, sublime bibliotecario dal tratto antico e gentile e tra i più grandi intellettuali del pensiero laico italiano, gestire il passaggio forse più importante dal tempo della Riforma Gentile.
Ma è a Franca Falcucci che si devono i primi progetti per l’inclusione dei disabili. Mi piace riportarne una nobile dichiarazione del 1975 , cui fecero seguito fatti concreti : «La scuola proprio perché deve rapportare l’azione educativa alle potenzialità di ogni allievo, appare la struttura più appropriata per far superare le condizioni di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati».
Ministro dal 1982 al 1987 fu la prima donna a ricoprire l’incarico e si intestò nel 1985 la sperimentazione del primo Piano Nazionale Informatica. Guardava lontano ed amava escogitare. Il Partito Comunista di Alessandro Natta, ultimo segretario generale prima della Bolognina e mediatore per il riavvicinamento all’URSS dopo lo strappo di Berlinguer, la osteggiò non poco in Parlamento.
Gli anni ‘90 videro tre dei più prestigiosi ministri dell’Istruzione affrontare le grandi innovazioni necessarie per il nuovo millennio. Giancarlo Lombardi (tecnico, Governo Dini) Luigi Berlinguer (Partito Democratico della Sinistra) e Tullio De Mauro (indipendente), il primo fu tra i più grandi educatori italiani del dopoguerra e Vice Presidente di Confindustria con delega all’Istruzione e il terzo, il più insigne linguista dell’Italia contemporanea che negli ultimi anni di vita denunciò il preoccupante fenomeno dell’analfabetismo funzionale che oggi affligge il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni (Fonte: Indagine Piaac- Ocse, 2019) Il dato è tra i più alti in Europa, eguagliato dalla Spagna e superato solo da quello della Turchia (47%).
Lombardi e De Mauro si misurarono con i temi scottanti dell’Autonomia Scolastica, figlia della grande stagione delle autonomie di quegli anni, della Dirigenza Scolastica e del merito dei docenti. Entrambi durarono in carica poco più di un anno. Il destino dei migliori, anche se Lombardi non perdonò mai a Romano Prodi di avergli preferito Luigi Berliguer, dopo il successo dell’Ulivo nel 1996. E me lo ricordò, finchè visse.
Nel recente ventennio la situazione è precipitata. Tra scorpori e re-incorporazioni della delega all’Università, si sono succeduti al Ministero dell’Istruzione uomini e donne, figli e figlie di un’alternanza democratica spesso frenetica ma sempre ansiosa di distruggere l’operato dei predecessori per cancellarne memoria ed eventuali risultati. Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, Fabio Mussi, Maria Stella Gelmini potrebbero ambire ad un’istantanea. Per gli altri, una polaroid.
Della Legge 107 del 2015, conosciuta come “Buona Scuola” possiamo solo dire che fu l’anticamera della sconfitta elettorale di Matteo Renzi, di fatto ministro dell’Istruzione, nonostante la nomina di Stefania Giannini su cui molto pesò un’indagine della Guardia di Finanza. Ma questa è un’altra storia.
Oggi una ministra venuta dall’antipolitica a cinque stelle, Lucia Azzolina da Siracusa, classe 1982 e immessa in ruolo nel 2014 a Biella, siede sulla poltrona che fu di Croce e di Gentile, di Moro e della Falcucci, di Lombardi e di De Mauro. Le è toccato in sorte, letteralmente, di far parte del peggior governo dell’Italia repubblicana guidato da un presidente, che nemmeno i più grandi studiosi di stocastica, avrebbero potuto prevedere. Le è toccato in sorte un ministero a metà, atteso l’ennesimo scorporo della delega all’Università che il Partito democratico ha saggiamente deciso di sottrarle, per limitare l’eventuale danno.
Oggi si trova a gestire la scuola italiana nel corso della più grande pandemia del mondo contemporaneo dall’influenza spagnola con le conseguenze normative e occupazionali, sanitarie e sindacali ma soprattutto politiche e morali che nessuno dei suoi predecessori ha mai affrontato in quasi centosessanta anni.
Una comunicazione caotica e contraddittoria, prona alle più datate pretese sindacali, ne connota le uscite improvvisate dietro le quali, come d’altronde per l’intero governo, non è dato di distinguere alcun tentativo di elaborare una strategia, di stabilire una mediazione con i corpi intermedi e con le imprese, di concepire un adeguato orientamento dei giovani al futuro in un mondo che, secondo i modelli elaborati dal matematico statunitense Mitchell Feigenbaum recentemente scomparso, si trova ad una biforcazione che ha alte possibilità di introdurre il caos nella società e pone, pertanto e ancora una volta, la necessità di escogitare, di insegnare, di educare e di preservare, intervenendo con il necessario carisma che purtroppo le è estraneo, sulla più importante infrastruttura culturale del Paese.
Al termine del mandato ministeriale, prevedo per la professoressa Lucia Azzolina da Siracusa una sola tra due possibilità: nella galleria dei ritratti immaginari nel palazzo umbertino di Viale Trastevere 76/A, le toccherà il più grande, oppure, verrà apposta su quei muri antichi una cornice vuota con la seguente iscrizione: “dal 2019 al…., sede vacante”. Non male, per non essere dimenticata!