In futuro, ricorderanno gli storici quanto sia stata strana l’atmosfera della New York durante le insurrezioni, quanto sia sembrata densa l’aria, le nuvole rosa affondate a metà nell’isteria, il paesaggio sonoro riempito, in modo incongruente, di cinguettii di uccelli e sirene che strillavano?
È l’ora del coprifuoco, cioè il momento in cui le proteste legali si trasformano in ribellione. Dal mio trespolo sul tetto la visuale abbraccia mezza Brooklyn e il rimbombare delle marce di protesta mi raggiunge da ogni direzione.
I miei vicini battono su pentole e coperchi sui loro tetti. Gli elicotteri della polizia sopra di noi mettono diversi milioni di persone in allarme.
Il cielo è andato in corto-circuito, fulmini elettrici tagliano le nuvole. Convogli di camionette della polizia vanno a sirene spiegate lungo la via verso i ponti e lo spiazzo.
Ed eppure – ecco la stranezza – il frastuono della polizia e la rivolta si fermano di tanto in tanto e un silenzio di campagna di rivela. È il silenzio dell’epidemia.
Non solo. Il tramonto e le sue luci brillano in modo eccessivo. È il luccichio dell’aria senza smog. Dopodiché la pausa finisce, il frastuono ritorna, gli elicotteri tornano a sbattere le loro eliche.
Diventa facile allora immaginare che, mentre il cielo si fa scuro, ciò che è rumoroso e umano e ciò che è silenzioso e inumano abbiano cominciato a combattere tra loro.
(Articolo pubblicato in inglese su Tablet)