Un’altra occasione sprecataConfindustria fa un assist al Pd sul futuro del paese, ma il Pd preferisce buttarla in tribuna

Industriali e Banca d’Italia aprono un gran dibattito sull’Italia dei prossimi anni perché ripartire dall’economia e rilanciare il sistema produttivo sarebbe una strategia vincente per tutti, ma al Nazareno prevalgono i vecchi tic, la miope convenienza quotidiana e la tattica di sgraffignare quattro voti agli inesistenti grillini

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Sono le parti sociali e una grande istituzione come la Banca d’Italia ad aver aperto quello che in Francia chiamerebbero un grand débat sul futuro del Paese. I partiti, al solito, restano abbarbicati sul qui e ora, in parte giustificati dall’emergenza. Ma una volta di più incapaci di gettare lo sguardo più in là del presente, con un governo che da parte sua a questa altezza della discussione semplicemente non esiste, fatto salvo l’intervento un po’ “dovuto” di Roberto Gualtieri che ha difeso l’operato dell’esecutivo.

Per ora su fisco e investimenti non si è fatto nulla. Ma non è nemmeno tanto di questo che si discute. I soldi fin qui erogati sono stati distribuiti a pioggia, ormai è cosa fatta. Il problema riguarda semmai le ingenti risorse che verranno dall’Europa: secondo quale idea dell’Italia verranno impiegate?

A parlare di questo “dopodomani” che è peraltro dietro l’angolo è stato il neopresidente di Confindustria Carlo Bonomi, il quale ha mostrato di essere un personaggio sanguigno (in discontinuità col più paludato predecessore Vincenzo Boccia), e forse sotto l’aspetto comunicativo anche troppo: «La politica peggio del Coronavirus», la frase che ha dato il titolo all’intervista su Repubblica, non è felice, comunque la si pensi.

E infatti quel titolo ha consentito le critiche del sempre polemico Andrea Orlando, evitandogli un intervento di merito, e persino Graziano Delrio stavolta non è stato mite come al solito («Bonomi parli dell’evasione fiscale»).

Ne esce confermata l’impressione che il Partito democratico non entri mai nel merito. Troppo facile ripetere a iosa il menù del giorno, che come in certe trattorie è sempre lo stesso: occorre un’economia verde, bisogna lavorare alla banda larga, si deve investire nella ricerca eccetera eccetera. Ma bisognerebbe dire come, quando, perché.

E soprattutto mettere le mani nel fango delle proprie contraddizioni, rivedere antiche convinzioni. Il Pd convochi tutti i soggetti, lanci un programma comprensibile, si metta al lavoro con una grande iniziativa politica. Si faccia capire, ci faccia capire.

Bonomi, dal suo punto di vista, la prima mossa l’ha fatta. Ha spalancato qualche porta e qualche finestra. Ha parlato chiaramente. Tanto chiaramente che un pezzetto della sinistra più radicale ha trovato un nuovo nemico del popolo da additare alle masse, masse che ovviamente non la seguono; persino dalle parti di LeU, partito di governo, si è sentito scomodare Antonio Gramsci parlando, a sproposito, del «sovversivismo delle classi dirigenti».

Il presidente di Confindustria ha rilanciato l’idea di un “contratto sociale”, che non ha nulla di rousseauiano ma pare ispirarsi più ai modelli di socialdemocrazia avanzata, e ha posto almeno un paio di questioni fondamentali.

Prima novità, l’autocritica sul mito italiano del “piccolo è bello” e una nuova attenzione alla grande dimensione, cosa che implica un discorso radicalmente diverso in termini di politica industriale.

In questo quadro Carlo Bonomi è stato molto chiaro sulla riforma della contrattazione di cui si discute da anni (e mentre si discute, nella realtà la contrattazione aziendale va avanti), ponendo una verità acclarata: che la detassazione dei contratti aziendali aiuta la produttività e che gli aumenti in sede nazionale aumenta i salari ma non la produttività. Ora, dice Bonomi, come può ripartire l’Italia se la produttività non cresce? Non sembra un discorso da “padrone”: è questo il problema.

Si rileggano ad aiuvandum le parole del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: «Per riportare la dinamica del prodotto interno all’1,5 per cento servirà un incremento medio della produttività del lavoro di poco meno di un punto percentuale all’anno. Questo obiettivo richiede un forte aumento dell’accumulazione di capitale, fisico e immateriale, e una crescita dell’efficienza produttiva non dissimile da quella osservata negli altri principali paesi europei».

Sono d’accordo il Pd e la Cgil, con questa analisi? Si rendono conto che l’unico modo per togliere l’acqua ai pesci “arancioni” e alla destra che vira sempre più a destra è quello di un grande accordo che rilanci il sistema produttivo italiano?

Ecco, l’uno-due Bonomi-Visco segnala che il tema della ricostruzione dell’economia italiana non è stato impugnato dalle forze progressiste ma da altri soggetti, con il sindacato in ritardo e i famosi intellettuali e specialisti tenuti fuori dall’area del dibattito politico. Attenzione, perché è qui – non su quanti voti sgraffignare ai silenti pentastellati – che il centrosinistra può vincere, o perdere, una battaglia storica.

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