La coalizione di centrodestra formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia ha trovato un accordo sui candidati alle elezioni regionali del prossimo 20 settembre. Raffaele Fitto in Puglia, Stefano Caldoro in Campania, Susanna Ceccardi in Toscana, Francesco Acquaroli nelle Marche e i due governatori uscenti – chiamati alla riconferma – Giovanni Toti in Liguria e Luca Zaia in Veneto.
Matteo Salvini ci ha provato in tutti i modi nelle ultime settimane, ma alla fine ha dovuto far cadere le resistenze. La Lega dovrà accontentarsi del nome di Ceccardi in Toscana – storicamente regione rossa – e la candidatura scontata di Zaia (tanto quanto la sua vittoria).
Ma si vede costretta soprattutto ad accettare le candidature di volti già noti come Fitto in Puglia e Caldoro in Campania: quest’ultimo già definito, non più tardi di dieci giorni fa, dal leader della Lega «una brava persona, ma i campani che scelgono Lega chiedono il cambiamento».
Il cambiamento per il momento non si vede. Severino Nappi, esponente della Lega in Campania, parlando a Linkiesta ha auspicato che questo nuovo percorso possa essere «di rinnovamento, diverso da quello che io stesso ho già fatto come assessore regionale con Stefano Caldoro». Una speranza che parte già in salita: il centrodestra presenterà candidati che non esprimono quel rinnovamento politico di cui Salvini si fa promotore e di cui la coalizione, secondo i leghisti, avrebbe bisogno.
Un volto nuovo, ragionano a via Bellerio, sede della Lega, serviva per impensierire Vincenzo De Luca (ad oggi impresa molto difficile) e Michele Emiliano (più probabile, soprattutto dopo la spaccatura della coalizione che lo sostiene e la candidatura di Ivan Scalfarotto, che riunisce Italia Viva, Azione e Più Europa).
Invece i nomi sono sempre gli stessi: Fitto e Caldoro, ad esempio, sono esponenti di una politica che in passato è già passata alle urne più volte, già vincente e già sconfitta. La stessa Lega, dal canto suo, non ha saputo trovare o “costruire” al Sud dei candidati forti, o anche solo credibili, come ce ne sono in altre regioni: Zaia è irraggiungibile, ma nessuno dei nomi proposti aveva una forza sufficiente a far vacillare le altre forze della coalizione.
Ora Salvini dovrà rinunciare anche per questa tornata elettorale a portare il suo simbolo alla guida di una regione del Mezzogiorno; in cambio «la Lega indicherà i candidati in alcune città del Centro-Sud fra cui Reggio Calabria, Andria, Chieti, Macerata, Matera, Nuoro», come recita il documento congiunto presentato dalle forze dei centrodestra.
Insomma, nonostante gli sforzi, nulla è cambiato dal vertice di tre ore ad Arcore dello scorso dicembre con Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi in vista dell’anno elettorale, vertice che aveva chiuso un accordo sui nomi poi rimesso in discussione dal leader della Lega, che vede la sua influenza interna alla coalizione diminuire col passare dei mesi.
Da quel momento le cose sono cambiate più volte. Già a gennaio 2020 la Lega è stata sconfitta in Emilia-Romagna – per mano di Stefano Bonaccini – fallendo nel tentativo di portare a casa la regione rossa per eccellenza e dare una spallata al governo.
Poi è arrivata l’emergenza coronavirus e il Carroccio ha accusato il colpo perdendo punti nei sondaggi settimana dopo settimana. Contemporaneamente, però, gli alleati di Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno rastrellato nuovi consensi, dimostrando di adattarsi più in fretta alle nuove regole dettate dalla pandemia rispetto al collega leghista.
Gli ultimi sondaggi rilevano un ulteriore calo (25,4% e 25,6% per Openmedia e YouTrend, oltre un punto percentuale in meno), con Fratelli d’Italia ancora vicino al 15 per cento (14,8 Openmedia, 14,7 YouTrend) e una distanza interna alla coalizione sempre più sottile.
La triplice alleanza di centrodestra è sempre meno a guida unilaterale verde, e sempre più equilibrata. Con Giorgia Meloni che in un’intervista di lunedì al Corriere della Sera ha messo in discussione la posizione di Salvini come leader del centrodestra: «È il leader della Lega, il partito che ha il maggior numero di consensi rilevati. Per noi il meccanismo è sempre stato meritocratico: quando arriveranno le elezioni politiche, se vinceremo, il premier sarà chi guida la forza che avrà preso più voti».
Dopo aver sbrogliato, in qualche modo, la questione candidature per le regionali, rischia di complicarsi il discorso sul piano nazionale (si vedano le posizioni divergenti di Forza Italia rispetto agli altri due partiti sul Mes). E non è detto che la Lega sia ancora in grado di esercitare da potenza egemone all’interno della coalizione, come accadeva fino a qualche settimana fa.