Stato etico vs civiltà apertaChi lavora per il re di Prussia?

Il confronto tra due idee diverse di società, che oggi si declina nella contrapposizione tra sovranismo e europeismo, ha sempre diviso il mondo. La pandemia ha accelerato una competizione che sembrava messa da parte dopo la caduta del Muro e invece sta tornando

Dipinto di Antoine Pesne (Parigi, 1683 – Berlino, 1757), esposto al Palazzo di Sanssouci di Potsdam

“Se voglio ingaggiare battaglia contro un nemico saldo in difesa

 dietro alte mura e profondi fossati, 

attacco un obbiettivo che di sicuro dovrà difendere: 

così, non potrà evitare di uscire per muovere al contrattacco.”

Sun Tzu L’arte della guerra

 

Cosa si nasconde dietro il movimento antirazzista che sta dilagando in Europa, manifestandosi come ideologia iconoclasta e revisionista ?

Perché questa nuova esplosione di odio sta coincidendo con la campagna elettorale che vedrà Donald Trump sottoposto al giudizio degli elettori americani e con le mire espansionistiche di Xi Jinping ?

E se, in realtà, tale inedito attivismo stesse lavorando per il proverbiale “re di Prussia” ?

In un’umanità provata dalla pandemia e terrorizzata dalla conseguenze economiche che l’accompagnano, sono domande che è lecito porsi per evitare uno dei tanti tranelli che la disinformazione è ormai abilissima a confezionare per generare incertezza e clima di sospetto verso ogni elemento e che torni utile ad esercitare il controllo sulla opinione pubblica.

Il mondo sembra essere conteso e dilaniato tra i due nuovi poli che si contendono il potere planetario: la Cina e la Russia, entrambe pronte a spartirsi sotto  diversi aspetti l’imbelle Unione Europea senza identità e gli stessi Stati Uniti, relegati da Trump in un isolamento sociale, culturale ed economico senza precedenti nella storia.

La partita globale che si sta giocando si presenta come la più impegnativa dopo altri deliranti disegni egemonici che hanno caratterizzato il XX secolo e che coincidono con la Rivoluzione d’Ottobre e con l’ascesa dei fascismi europei.

In entrambi i casi la pretesa non fu la conquista di un territorio, di uno sbocco sul mare  o di imperi in dissoluzione come, all’inizio del secolo, quello ottomano e successivamente quello asburgico, ma l’imposizione ideologica di una visione del mondo parossistica da perseguire con le armi inedite della propaganda e della disinformazione con un unico fine: la formazione dello stato etico.

Secondo Hegel, nello Stato etico si realizza la fusione senza residui degli individui nello Stato, nel quale i fini particolari trovavano piena realizzazione.  Essendo in antitesi con la teoria liberale dello Stato di diritto, nei primi decenni del novecento in un mondo prostrato dagli effetti della Prima Guerra Mondiale, la dottrina dello Stato etico fu manipolata ed usata per spiegare il fondamento della concezione dello Stato fascista di Benito Mussolini e dello Stato comunista sviluppatosi nell’Unione Sovietica.

Ad un secolo di distanza si ripropone la lotta tra due eterni nemici: lo Stato etico, appunto, e la società aperta, intuizione originariamente bergsoniana ma sviluppata e attualizzata poi da Karl Popper, secondo cui nelle società aperte si presume che il governo sia sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, permettendo a tutti di partecipare ai processi decisionali.

Nella convinzione che l’umanità non disponga di verità assolute, ma solo approssimazioni, la società dovrebbe dare così massima libertà di espressione ai suoi individui e l’autoritarismo non è giustificato. 

La teoria della falsificabilità, per cui la conoscenza è provvisoria e fallibile, implica che la società deve essere aperta a punti di vista alternativi. Una società aperta è associata al pluralismo; è sempre aperta al cambiamento perché la conoscenza non è mai completa ma sempre in divenire: «Se vogliamo rimanere uomini – egli avverte – c’è unicamente una strada, la strada verso la società aperta, per proseguire la nostra marcia verso l’ignoto, verso ciò che non sappiamo, verso l’incerto (…) per pianificare due cose : non solo la nostra sicurezza, ma al medesimo tempo la nostra libertà». 

Per decenni l’Occidente si è incamminato su questa strada, esorcizzando i fantasmi del passato e sancendo, con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, il definitivo tramonto della supremazia dello Stato sulla coscienza individuale  ma aprendo, al contempo, il vaso di Pandora di ogni possibile relativismo e, con l’avvento dei social media, autorizzando ogni singola opinione ad assurgere a pretesa di verità.

Lo stato etico è rimasto in Medio Oriente, nella Cina della riedizione, capitalista stavolta,  del “grande balzo in avanti” nella parodia democratica della Russia di Vladimir Putin e da ultimo nelle elezioni di presidenti quali Recep Tayyip Erdogan, Donald Trump e Jair Bolsonaro, nuovi interpreti di democrazie autoritarie giustificate formalmente da ortodossie religiose o da necessità economiche.

L’Unione Europea, propostasi al mondo come campione della società aperta, è rimasta di fatto paralizzata dalla mancanza di una dimensione politica e avviluppata nell’antico incubo di una recessione economica causata da temuti processi inflattivi del passato che la Germania, in particolare, non ha mai dimenticato.

La pandemia ha accelerato questi processi, rivelando quanto fosse fragile la società aperta, figlia comunque di una condizione di medio benessere e garantita da livelli medi di welfare,  elementi che hanno luccicato negli anni scorsi come specchi per allodole negli occhi di migliaia di migranti provenienti da paesi poveri o oppressi da guerre o da regimi totalitari.

Ora “il colpo di grazia” sembra stia per arrivare.

Minata al proprio interno da eventi inimmaginabili solo pochi anni fa quali Brexit, l’ascesa dei sovranismi, il rinnovato fascino perverso, specie nei giovani, di ideologie d’ispirazione nazi fascista, a lungo covate e tollerate negli stadi calcio come valvole di sfogo popolare, l’accentuazione della contrapposizione tra ricchi e poveri e la guerra tra questi ultimi, spesso confluita in vere e proprie manifestazioni razziste, strozzata da una “cintura di seta” che essa stessa ha accettato di farsi annodare al collo, l’Europa presenta le condizioni ideali per quanti vogliono azzerare il più grande esperimento di integrazione dai tempi dell’Impero Romano.

Agli occhi degli autocrati dei nostri tempi, che se ne infischiano di ambiente, diritti umani e sociali, libertà di espressione, terzietà della giustizia, istituti di partecipazione e di solidarietà,  L’Europa si presenta come l’impero ottomano alla fine del XIX secolo: un grande malato di cui accelerare la fine per spartirsene le spoglie non più solo territoriali ma economiche, sociali e, soprattutto ideali, sotterrando la società aperta dichiarandone il fallimento e predisponendo le condizioni per un rinnovato consenso verso lo stato etico.

L’arma più sofisticata e disponibile a basso costo è certamente la capacità di influenzare attraverso semplificazioni molto gradite ai più, demolendo quanto più possibile l’Europa, rinnovandone antichi complessi di colpa quali il colonialismo e il razzismo, derubricando nel contempo a debolezze ciò che per decenni essa ha vantato come mete di progresso democratico e sociale e contrapponendovi il mito di un decisionismo spinto, applaudito da masse impaurite e impoverite.

Abbiamo già visto un fenomeno analogo quando l’Unione Sovietica sovvenzionò i movimenti pacifisti, sfruttando sovente l’ingenuità di centinaia di migliaia di giovani, nel tentativo di disarmare l’arsenale nucleare statunitense, unico vantaggio della Nato sulla preponderante presenza di uomini e di mezzi attestati nell’est sino ai confini con la Germania Federale. 

Il fallimento di quel tentativo e la consapevolezza di essere stati usati spinse molti di quei giovani verso la disperazione e il terrorismo. Quanti oggi stanno lavorando dietro le quinte e come allora più o meno consapevolmente, per il re di Prussia sono avvisati.

Tutto sembra utile a indebolire ulteriormente l’Europa, utilizzando contro di essa proprio i valori su cui l’Unione fu fondata ed archiviando, stavolta per i secoli a venire, ogni futura aspirazione a orientare il progresso dell’mmanità. 

Ma in nome di quell’immenso patrimonio di cultura e di civiltà che, insieme a pur tanti errori, essa ci ha tramandato non possiamo consentire che siano abbattuti,  in una nemesi a lungo desiderata da molti, quelle statue poste a guardia di ciò che non abbiamo il diritto di dimenticare di essere. 

Negli Esercizi Spirituali, Sant’Ignazio di Lojola scrisse: «Similmente, il nemico si comporta come un capo militare: dopo aver piantato la tenda di comando e osservato le postazioni o la posizione di un castello, lo attacca dalla parte più debole. Così il nemico ti osserva da tutte le parti ed esamina tutte le tue virtù teologali, cardinali e morali, e ti attacca e cerca di prenderti dove ti trova più debole».

Noi che dai Gesuiti abbiamo imparato tanto, compresi i mezzi con cui difendercene, non staremo a guardare.

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