Chi non ama l’Unione europea usa un termine che considera dispregiativo: eurocrati. Ma per chi lavora nell’Unione europea quell’aggettivo è diventato un vanto, come a far parte di una esclusiva e ristretta cerchia di addetti ai lavori. Per tutti gli altri rimane un termine che indica coloro che hanno a che fare con Bruxelles. Ma da dove nasce la parola eurocrate?
Anche se a prima vista sembra un’espressione recente, in realtà ha più o meno gli stessi anni dell’Unione Europea. Si dice che a utilizzarlo per la prima volta fu nel 1961 il giornalista inglese Richard Mayne. Il termine eurocrate sarebbe stato coniato dalla moglie Margot, anche lei giornalista, per indicare lo staff dell’allora Comunità Economica Europea in crescente aumento a Bruxelles.
Una connotazione quindi neutra e descrittiva, tra l’altro brevettata da chi faceva parte di quella bolla che stava iniziando ad espandersi. Lo stesso Richard Mayne era infatti anche l’assistente personale di Walter Hallstein, primo presidente della Commissione Europea.
Se il nome non vi dice niente, sappiate che proprio Hallstein è uno degli ideatori della Ceca, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio: praticamente il primo, fondamentale mattoncino che nel 1951 ha dato inizio alla costruzione dell’Unione Europea per come la conosciamo adesso.
Nato dalla combinazione di europeo e burocrate, ancora oggi il suo significato originario indica un membro del personale della commissione amministrativa dell’Unione europea, e più in generale, qualsiasi funzionario dell’Unione europea.
Limitandosi alla Commissione, il primo, e forse anche il più debole, anello della catena alimentare che compone l’ecosistema degli eurocrati è costituito dai Bluebook trainees, cioè dai tirocinanti che per un periodo di cinque mesi fanno il loro stage retribuito all’interno di una delle sue DG (le direzioni generali).
Si passa poi al Contract Staff, a cui si accede tramite il cosiddetto CAST (Contract Agents Selection Tool), un concorso a numero chiuso a cui si può partecipare solo su invito da parte di una specifica unità delle varie DG. Il contratto ha la durata di sei anni, è non è rinnovabile.
Tra gli stagisti Bluebook e i CAST c’è una sorta di sottocategoria ibrida che è importante citare. Si tratta degli intérimaire, che hanno contratti per la Commissione di durata molto breve o brevissima, addirittura anche solo di una settimana. Finiscono in questo limbo tutti coloro che hanno terminato il loro periodo di stage e sono ritenuti in grado di rimanere a lavorare nella loro unità, ma che ancora non hanno superato il CAST.
La posizione più ambita nella scala sociale degli eurocrati è sicuramente quella del Permanent Staff. Chiunque, nella EU Bubble ha sentito parlare almeno una volta del famigerato concorso EPSO (che sta per European Personnel Selection Office), e nella maggior parte dei casi, almeno una volta ha provato a passarlo. Anche perché, se si ha la fortuna di superarlo, si è impiegati per l’Unione europea praticamente per sempre.
Dato che un qualsiasi funzionario dell’UE può essere definito eurocrate, l’elenco potrebbe proseguire praticamente quasi all’infinito. Per risparmiarvi tempo e farvi fare una risata, il sito di DG Meme ha messo insieme una lista in chiave satirica che gli appassionati della EU Bubble apprezzeranno sicuramente.
Ma come già accennato, questo termine in origine circoscritto all’ambito dei tecnicismi dell’UE, è riuscito ad uscire in un certo senso da questa particolare bolla, entrando gradualmente nel vocabolario dei media più tradizionali, nei discorsi dei politici e anche nell’uso comune.
Come? Il fatto è che quando questi fantomatici eurocrati vengono nominati da media e politici non si riferiscono a tirocinanti o funzionari, o almeno non nella stragrande maggioranza dei casi.
È più probabile infatti che si parli di commissari e alte cariche dell’Ue in generale, per intenderci quelli di cui si conoscono almeno i nomi, e che in un modo o nell’altro sono considerati i primi responsabili di tutti i problemi dell’Unione Europea e soprattutto dei suoi cittadini.
Che il termine eurocrate o eurocrati compaia sui giornali non è una novità. Facendo una velocissima ricerca, ad esempio, si trova un articolo di Repubblica del 1985 che titola: “Tutte le colpe degli Eurocrati”. Sotto i riflettori e sotto accusa, non ci sono però volti e nomi celebri, ma proprio quei funzionari di cui parlavamo all’inizio, ritenuti non in grado di portare a compimento l’integrazione vera e propria dell’allora Comunità Europea.
Anzi, sono i funzionari stessi a parlare, delusi da un’Europa unita che stenta a realizzarsi e che viene definita addirittura come una “Non Europa”, principalmente per colpa dei singoli Stati Membri (ai tempi solo dieci), non realmente interessati a dar vita ad un progetto di sviluppo a lungo termine.
Dopo oltre trent’anni, non si può di certo negare che la mancata volontà politica dei singoli Stati Membri sia soltanto un vago ricordo. Abbiamo adesso una vera e propria Unione Europea che è regolata da due trattati istitutivi e costituita da 27 Stati Membri, abbiamo una moneta unica, libertà di circolazione di merci e persone e molto altro. Ma le problematiche legate all’azione dei singoli Stati per quanto riguarda l’interesse collettivo dell’Unione non si sono di certo esaurite. Basta pensare alle discussioni interne al Consiglio Europeo che molto spesso frenano o quantomeno rallentano riforme o decisioni proposte da Parlamento e Commissione.
Per quanto riguarda il termine eurocrati, negli ultimi tempi ha assunto una connotazione più negativa, o quantomeno più critica rispetto al passato. Questa non è tanto rivolta, o lo è solo in parte, alla schiera di funzionari che lavorano per la Commissione Europea o per le istituzioni in generale, ma piuttosto ai nomi e ai volti più celebri, accusati in questo caso però di essere i maggiori responsabili di un sistema che pensa soltanto a “far quadrare i conti”, facendo poco o niente per rispondere ai bisogni dei suoi cittadini, e limitando enormemente il potere degli Stati nazionali.
Il vocabolario populista è quello che con molta probabilità ce ne dà più chiaramente prova. In una narrazione in cui la società viene suddivisa tra i due campi antagonisti di popolo e élite, gli eurocrati vengono identificati come membri di quest’ultima. Un’élite generalmente che sì, sulla carta è fatta di volti e nomi rintracciabili, che vengono però dipinti come così distanti e impassibili davanti alle necessità dell’uomo comune da trasformarsi in ultima analisi in una sfera anonima e intercambiabile. Non è un caso che uno come Boris Johnson parli di faceless Eurocrats, cioè di “eurocrati senza volto”.
E non è un caso neppure se proprio distanza e anonimità siano le caratteristiche ideali per dichiarare gli eurocrati come “nemici del popolo”. Per prima cosa, gli eurocrati, famosi o meno, lavorano in luoghi geograficamente e fisicamente distanti dai singoli Stati Membri. Sono infatti concentrati a Bruxelles, nella città nella città che è il quartiere europeo. La torre d’avorio (o per meglio dire di vetro considerando come sono fatte le sedi delle sue istituzioni) perfetta, da cui è semplice perdere i contatti con la realtà.
È poi obiettivamente difficile capire cosa facciano per davvero questi eurocrati. Per chi non è del settore capire la differenza tra le varie istituzioni e il potere che ognuna di queste esercita non è scontato. Quando si sente dire che l’Europa ci chiede di adottare un certo provvedimento, di quale Europa stiamo parlando?
Di certo avere nomi di istituzioni che più o meno si somigliano tutti non aiuta (quale genio del male potrà aver mai pensato che avere tre organi distinti denominati Consiglio Europeo, Consiglio dell’UE e Consiglio d’Europa fosse una buona idea?) E come fare a chiarirsi le idee tra l’elenco potenzialmente infinito di sigle che costellano l’universo dell’UE? Che risposte avremmo chiedendo al famoso uomo qualunque la differenza tra Mes, Beri, Pepp e Sure?
Sono questi elementi oggettivi a permettere ad euroscettici ed anti-europeisti di parlare senza troppi sforzi di “Europa matrigna” o di “Eurocrati non eletti da nessuno”, facendo sì che gradualmente la costruzione del grigio eurocrate incapace di provare emozioni entri a far parte dell’immaginario comune, spostandosi da una narrazione esclusivamente populista a una quasi ordinaria.
Se l’Unione Europea riuscirà nell’impresa di redimere la propria immagine sarà non solo questione di politiche effettive, ma anche e soprattutto del modo in cui queste verranno comunicate, di come i suoi membri principali decideranno di presentarsi e di come queste rappresentazioni verranno a loro volta percepite e interpretate. È’ la comunicazione, più che i fatti oggettivi, che in primo luogo crea e modifica la realtà, e ne dà una certa visione che non rimane invariata, ma che cambia a seconda di diversi contesti storici, sociali e politici.
Tradotto, e come diceva Nanni Moretti più di trent’anni fa, le parole sono importanti. Vale lo stesso per l’UE e i suoi eurocrati.