Il calcio italiano visto da fuoriIl coronavirus ha fatto bene alla Serie A, dice il New York Times

Il quotidiano americano spiega che la sosta forzata ha costretto a un cambiamento nei rapporti tra i vertici del nostro campionato. In particolare è stato decisivo il ruolo di mediatore del nuovo presidente della Lega Paolo Dal Pino, che ora è chiamato a riportare la nostra prima divisione ai livelli degli anni Novanta

Miguel MEDINA / AFP

Il consiglio di lega della Serie A era un gruppo di venti presidenti che battibeccano e si attaccano l’un l’altro, mentre il loro campionato perde appeal e visibilità anno dopo anno, complice anche un evidente problema di razzismo. Nella ricostruzione del New York Times è questo lo scenario che ha accolto Paolo Dal Pino al momento della sua nomina a presidente della Serie A lo scorso gennaio.

Poche settimane più tardi è arrivato il coronavirus, l’interruzione forzata delle partite, l’incertezza sulla ripresa e sull’economia dell’intero sistema. «Le probabilità che la Lega potesse trovare una risposta unitaria alla crisi erano piuttosto remote», scrive il New York Times.

Invece la pausa è stata l’occasione per remare, una volta tanto, tutti nella stessa direzione. Lo spiega proprio il presidente Dal Pino, intervistato da Rory Smith per il quotidiano statunitense: «C’è unità d’intenti, più di prima, l’assenza di partite ha tolto dal tavolo molte controversie e tensioni su arbitri, giocatori e ogni aspetto legato al campo».

Così l’emergenza coronavirus ha creato una congiuntura unica, uno ambiente più accogliente in cui anche i giornali sportivi italiani – «famelici», nelle parole del New York Times – non avrebbero potuto alimentare dibattiti su rivalità vere o presunte, errori più o meno volontari degli arbitri e altre fantasie.

La sospensione del campionato è diventata opportunità di riscatto nel momento più difficile, per una lega che ha visto i suoi ricavi fermarsi all’improvviso e molte società a rischio. La collaborazione, a quel punto, è stata l’unica opzione possibile.

L’analisi del quotidiano americano descrive il lavoro cui è chiamato Dal Pino, «arrivato al vertice della Serie A a gennaio 2020 per riportare il campionato ai fasti degli anni Novanta, al periodo delle delle Sette Sorelle e del dominio in campo internazionale». Dal 1990 al 1999, infatti, le squadre italiane raggiungono otto volte la finale della Coppa Campioni/Champions League, vincendo tre volte; e nove volte su dieci c’è almeno una finalista in Coppa Uefa, comprese quattro finali tutte italiane negli anni 1990, 1991, 1995 e 1998.

Ma lo scenario odierno è molto distante da quello, scrive il Nyt: «Oggi i proventi dai diritti tv impallidiscono al confronto con quelli inglesi o tedeschi e gli stadi italiani sono vecchi e fatiscenti».

Per quanto riguarda i diritti tv, in particolare, il quotidiano cita la diatriba con l’emittente qatariota beIn Sports «che ha minacciato di interrompere il suo contratto di trasmissione dopo l’accordo per far giocare la Supercoppa italiana in Arabia Saudita».

Un episodio che avrebbe convinto i vertici del calcio italiano a un cambiamento radicale: ora la lega vorrebbe avere controllo totale sugli accordi di trasmissione, invece di rivenderli tramite terzi come fa adesso.

È anche per questo che si parla sempre più spesso della possibilità che la Lega Serie A apra le porte a investimenti da parte di fondi stranieri privati.

Ma al momento, ricorda il New York Times, la Serie A avrebbe un più grande problema di appeal «per i ripetuti episodi di razzismo: è capitato anche quest’anno, con i fischi nei confronti dell’attaccante dell’Inter Romelu Lukaku. Mentre a dicembre era stata mal concepita una campagna antirazzismo che non ha avuto buoni risultati». Il riferimento è all’opera di Simone Fugazzotto che raffigura tre volti di scimmia.

«La Lega sembrava incapace, o addirittura riluttante, a contrastare il problema. Con alcuni club che sembrano sopraffatti dai loro ultras di estrema destra».

I segnali positivi, però, potrebbero poter andare oltre le difficoltà della massima divisione italiana. Il New York Times riporta le parole del presidente della Juventus Andrea Agnelli sul lavoro conciliante di Dal Pino: «La sua diplomazia in questi mesi ha aiutato i club a lavorare di sistema».

E non solo. Sono segnali promettenti, dice Dal Pino, «anche gli arrivi di Lukaku e Cristiano Ronaldo, a testimonianza di una ritrovata capacità attrattiva dei nostri club per i talenti d’élite, oltre al fatto che il calcio italiano stava battendo i suoi record di presenze allo stadio prima della pausa forzata, dimostrando che c’è ancora voglia di vedere il nostro calcio». Non a caso la finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli – trasmessa in chiaro – ha superato i 10 milioni di telespettatori.

Il presidente Dal Pino ha portato un’aria nuova al vertice del calcio italiano, e alcuni segnali sembrano andare in questa direzione. Però, conclude il New York Times, «per raggiungere risultati concreti nei prossimi mesi il numero uno della Serie A avrà bisogno della collaborazione dei 20 presidenti di club. Insieme dovranno riuscire a lavorare per mantenere l’armonia che avevano trovato in assenza di calcio giocato. Anche ora che il pallone è tornato».

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