C’era questo professore di Storia dell’Architettura, il prof. Furio Fasolo, ostinatamente estraneo al mainstream dell’epoca: credeva all’architettura come arte della durata, obbligava a disegnare dal vero e a mano libera per accedere all’esame, pretendeva non solo studio ma pure manualità. A metà del Settanta entrava a Valle Giulia tra gli sputi.
Nessuno stampava i suoi libri, che venivano consegnati ai (pochi) studenti sotto forma di papiri cianografici. Ovviamente non diventò una celebrità, un Argan o uno Zevi, ma faceva il suo lavoro, difendeva le sue idee e metteva nel conto che questo comportasse un certo livello di conflitto, sconfitte, ferite accademiche e sociali, qualche rara vittoria.
La storia del prof. Fasolo mi è venuta in mente a proposito dei contrapposti allarmi sulla Cancel Culture con le quali una metà del mondo accademico denuncia il boicottaggio di artisti, scrittori, intellettuali che prendono posizioni controcorrente o politicamente scorrette e l’altra metà difende il diritto all’anatema e alla demolizione di chi non si allinea ai tempi nuovi.
La Cancel Culture è operosa da molto tempo su numerosi piani. Abbatte icone del femminismo storico come Gloria Steinem, colpevole di aver fatto campagna per Bernie Sanders anziché per Hillary Clinton e di essere ostile alla legalizzazione della prostituzione. Insulta J.K. Rowling perché nemica del superamento del sesso biologico in favore di un “genere” auto-dichiarato. Licenzia Ian Buruma dalla direzione della New York Review of Books per aver pubblicato il saggio di un conduttore radiofonico accusato e poi assolto dall’accusa di molestie sessuali. Tira giù le effigi di Noam Chomsky e Francis Fukuyama, firmatari di un manifesto-denuncia contro “la moda dello svergognamento pubblico” nel quale si parla di editor licenziati per la pubblicazione di brani controversi; libri ritirati per presunta inautenticità; giornalisti a cui è vietato scrivere su determinati argomenti.
Ecco, mi vien da dire: finalmente abbiamo una guerra culturale. Finalmente un pezzetto di mondo abituato all’inchino e all’applauso si accorge che nessun trono è salvo per definizione, nessuna statua può resistere per diritto di nascita. La cultura è potere. Il potere è conteso. Conservarlo, prenderselo, riprenderselo, non è operazione indolore.
Il prof. Fasolo e molti altri della sua generazione, cresciuti nel conflitto, conoscevano la lezione e furono a modo loro perdenti di successo: quando nell’era degli esami di gruppo e del 18 politico obblighi studenti a disegnare a mano intere chiese rinascimentali, ovvio che qualcosa rischi. E tuttavia, credendoci, fecero quelle battaglie. Resistettero alla tentazione della resa. Ci ammaccarono carriere, spesso ridendoci sopra.
È comprensibile l’attuale sconcerto dell’area intellettuale liberal, moderata, potente, nel ritrovarsi strapazzata dai fanatici della Cancel Culture: mai avrebbero pensato di trovarsi dalla parte sbagliata dei cannoni di un nuovo maccartismo, con la loro reputazione e i loro contratti minacciati dall’indignazione social. Fino a poco tempo fa la battaglia non li riguardava, tutte le armi erano in mano ai loro amici e fan.
Le vittime erano lontane dalla loro bolla di interessi e forse non avevano idea che si potesse finire decapitati per un’opinione o addirittura per uno scherzo. Quando, per dirne una, sull’onda del fervore anti-trumpiano, la Disney licenziò il regista James Gunn per archeologici post degli anni ’10 su stupro e Aids, nessuno si sentì particolarmente coinvolto.
Se gli agnelli sacrificali del momento conoscessero i precedenti, saprebbero che è illusorio appellarsi all’idea di un disarmo bilaterale in nome della libertà delle idee e del diritto democratico a esprimerle senza rischiare sanzioni. Non succederà.
La critica alla Cancel Culture dovrà trovare trincee più solide di un generico invito a essere buoni. I bersagli dei Savonarola della rete dovranno attrezzarsi al conflitto e decidere se credono abbastanza alle loro battaglie da rischiare la gogna social (che peraltro è sempre meglio degli antichi sputi) o se preferiscono riallinearsi al censore collettivo in nome del quieto vivere e delle scadenze del mutuo.