«Esplodono i corsi di portoghese e spagnolo in Cina», annunciava The Guardian due anni fa associando l’aumento di studenti con la crescente presenza cinese in America Latina, teatro secondario dove Pechino interpreta il nuovo ruolo di attore globale: l’interscambio commerciale ha scalzato l’Unione europea e ormai insidia il primato degli Stati Uniti; crescono anche gli investimenti e i prestiti.
La Cina costruisce metropolitane e basi militari in quello che gli Stati Uniti considerano il loro “giardino di casa”, una regione dove per circa due secoli non hanno accettato interferenze da parte di altre potenze. La nuova via della Seta arriva fino in America Latina attraverso accordi con 18 paesi. L’ultimo dei quali con il Perù, una firma che potrebbe «aprire la strada ad accordi con tutta la regione andina», segnala Dialogochino una piattaforma di dialogo sino-latinoamericana.
Ma l’avanzata cinese si basa soprattutto sul commercio: nel 1998 le esportazioni cinesi verso l’America Latina rappresentavano appena il 3,7% di quelle statunitensi, nel 2018 il gap si è chiuso fino al 59,1% (WITS, 2020).
I dati tengono conto anche del Messico, la cui economia gravita attorno al mercato degli Stati Uniti e che Washington non intende farsi sfilare, tanto che nel nuovo accordo commerciale con Canada e Messico (USMCA) esiste una clausola che diffida i membri a stringere accordi commerciali con «economie non di mercato», pena l’esclusione dall’accordo.
Non solo materie prime, ma gli accordi con Pechino in campo tecnologico e scientifico hanno permesso a Bolivia, Ecuador e Venezuela di lanciare satelliti spaziali oltre a promuovere la ricerca astronomica in Cile. In più, l’esercito cinese possiede ora un pied-à-terre nell’emisfero australe, a Neuquén, Patagonia argentina, una base spaziale che ha contribuito sia alle esplorazioni del lato nascosto della luna, sia allo sviluppo di Beidou, l’alternativa made in China al Gps.
Anche le infrastrutture mostrano l’avvicinamento tra Pechino e l’America Latina: in numerose capitali latinoamericane circolano bus elettrici di fabbricazione cinese e l’anno scorso il consorzio Chinese APCA Transmimetro ha vinto la gara per costruire la metropolitana di Bogotà.
L’America Latina è il campo di battaglia tra la cinese Huawei e gli Stati Uniti per il mercato del 5G. La società cinese opera in venti paesi della regione ed è tra le tre marche più vendute di smartphone in Messico, Colombia, Perù e America Centrale. La forza di Huawei è la diversificazione: intelligenza artificiale, servizi di Cloud Computing, e soprattutto lo sviluppo della rete 5G. Nel 2018, la Huawei Marine Networks ha srotolato 6mila chilometri di cavi sottomarini di fibra ottica tra Kribi in Camerun e Fortaleza in Brasile: l’infrastruttura di supporto del 5G.
Il link con il Brasile esisteva da prima, almeno a livello politico. Nel primo decennio 2000 le relazioni compiono un salto di qualità, grazie alla spinta congiunta dei governi progressisti della regione, nella cornice della cooperazione Sud-Sud e di una maggiore autonomia da Washington.
Daniel Cardoso, professore della UA di Lisbona ed esperto di politica estera brasiliana, spiega che «è durante i governi di Lula e Roussef (2003-2016) che il Brasile, in cerca di uno status internazionale, promuove il gruppo BRICS», per cercare di costruire un mondo multipolare, realizzato con l’allargamento del G20 e con nuove istituzioni finanziarie internazionali, come la Nuova Banca di Sviluppo.
L’elezione di Bolsonaro segna un cambio di prospettiva poiché «il Paese adesso punta ad aderire all’Ocse e cementare le relazioni con gli Stati Uniti. L’effetto Bolsonaro sulle relazioni con Pechino non è economico, ma politico, poiché non vi sono più strategie condivise come ai tempi di Lula: Washington teme l’influenza cinese dal punto di vista della sicurezza, per questo il Brasile da buon alleato ha raffreddato i rapporti con Pechino e con il gruppo BRICS», conclude Cardoso.
Anche in Venezuela la Cina gioca un ruolo di primo piano, sostenendo il governo in carica da una posizione pragmatica più che ideologica, mossa da interessi petroliferi. Pechino ha garantito prestiti a molti paesi della regione, superando quelli della Banca Mondiale e della Banca Interamericana di Sviluppo, attraverso il meccanismo «petrolio in cambio di prestiti». Spiega Giorgio Cuscito, esperto di politica estera cinese, che la crisi di Caracas mette a rischio il prestito erogato – 67,2 miliardi di dollari, saldato per meno della metà – spingendo la Cina dentro una “trappola del credito”.
Non c’è solo la politica di potenza, ma anche l’associazione della Cina a fenomeni popolari, come il calcio. Come Hollywood servì a diffondere i miti USA durante la guerra fredda, così il softpower cinese vuole usare il pallone per presentare un’immagine positiva del Paese nel mondo, segnala il podcast Risciò. E così che in Europa abbiamo conosciuto le nuove proprietà cinesi di Inter e Atletico Madrid, e in America Latina, sulle maglie della nazionale di Panama, l’Alianza Lima e il Club America, campeggia il logo di Huawei.
Sembra che gli sforzi comincino a pagare, soprattutto da un punto di vista diplomatico: fino al 2017 undici Stati sudamericani riconoscevano Taiwan, mentre oggi sono soltanto otto, dopo che El Salvador, Panama e Repubblica Dominicana hanno rotto le relazioni con Taipei e riconosciuto implicitamente la politica della “Cina come un solo paese”.
Non ha dubbi R. Evan Ellis, professore di Studi Latinoamericani, «nel mondo del 2049, dal punto di vista dell’America Latina, la Cina avrà certamente superato gli Stati Uniti per potere e importanza». Per gli Stati Uniti l’America Latina rischia di essere soprattutto un rischio da gestire, soprattutto a causa del narcotraffico e migrazioni; per la Cina, invece, è un’opportunità, come recitano i documenti ufficiali del Governo che basano le relazioni su «uguaglianza, benefici reciproci e sviluppo congiunto», consolidate nel forum Cina-CELAC. Retorica a parte, quel che è certo è che la Cina è ormai dentro il giardino di casa degli Stati Uniti. E non è una visita di passaggio.