Dalla spiaggia di Mondello la signora Angela ha fatto il giro del web tra interviste nei salotti televisivi e meme sui social con il suo fare negazionista al motto di “Non ce n’è coviddi”. Un atteggiamento di revisionismo storico (strumentalizzato a dovere) che mal digerirebbero i settori più colpiti dagli effetti del coronavirus. Come il mondo della ristorazione, di cui il Centro Studi della Fipe aveva stimato già ad aprile una perdita di 8 miliardi di euro sul fatturato; oppure il comparto eventi che ha visto annullati i più importanti appuntamenti enogastronomici della prima parte dell’anno con effetti che incideranno inevitabilmente sul resto del 2020; senza considerare poi lo scottante tema del turismo e degli scarsi flussi dovuti alla drastica contrazione della domanda, nonostante Enit (Ente Nazionale del Turismo Italiano) “nota nel calo delle prenotazioni estive per l’Italia una leggerissima ripresa complessiva (da -89,4% a -85,4%)”.
In un quadro così nefasto, che lascia poco spazio all’ottimismo, c’è anche chi (fortunatamente) è stato graziato da questa emergenza e ha vissuto il lockdown come una opportunità. Sì, proprio nel senso di vantaggio. Una testimonianza significativa è sicuramente quella di Carlo Moser, vice presidente dell’Istituto Trento Doc, massima espressione delle bollicine di montagna (di cui abbiamo parlato qui). Il primo metodo classico italiano prodotto in Trentino, dove territorio e varietà di climi sono gli ingredienti “speciali” di questo spumante, non ha risentito dei passati mesi di fermo e, anzi, il maggiore riposo sui lieviti è andato a tutto vantaggio della prossima vendemmia. «Il momento per noi consorziati non è così drammatico: la vera sfida adesso per l’agricoltura sono i temporali estivi», afferma Moser, proprietario di Maso Villa Warth, nel corso di una degustazione virtuale guidata da Simone Loguercio, miglior sommelier d’Italia Ais 2018. Il disciplinare, infatti, parla chiaro: i tempi di maturazione minimi di un Trentodoc sui lieviti variano dai 15 mesi per un brut ai 36 per una riserva e il prolungato riposo sui lieviti migliora il prodotto finale.
Se i canali di vendita Ho.re.ca sono stati bloccati dal lockdown, il lavoro nelle campagne è continuato e a beneficiarne sono stati tutti quei produttori per cui da sempre i tempi frenetici dettati dal consumismo erano inconciliabili con il lavoro artigianale.
Lo sanno bene i fratelli Roccia, eredi dell’azienda agricola di famiglia con allevamento in provincia di Foggia, attività gestita in loco da Antonio, il maggiore dei tre, mentre gli altri due dal 2015 sono proprietari a Roma rispettivamente di Pork’n’Roll La Bottega e a fianco del Pork’N’Roll Pub. Il primo è gestito da Gerardo ed è a metà strada tra una classica norcineria e un moderno beer-shop. Qui è possibile fare la spesa al banco della carne e dei salumi, tutti esclusivamente di propria produzione, da cui attingono anche alcuni pezzi grossi in città come Anthony Genovese, unico bistellato della capitale, e Gabriele Bonci, maestro della pizza al taglio. Dopo i lavori di ristrutturazione dello scorso anno il locale è stato ampliato per permettere agli ospiti di fermarsi più in comodità a pranzo e a cena scegliendo dal bancone il pezzo di carne da mandare poi in cottura. «Gli ultimi mesi ci hanno permesso di farci conoscere soprattutto dalla gente di zona (Tiburtina) che ancora non si era resa conto che fossimo anche macelleria. Non parlo solo dei giovani ma di quelle persone più grandi e delle famiglie che, (anche) per evitare le file al supermercato, hanno riscoperto botteghe di quartiere come la nostra. Sono riuscito a fidelizzare una parte di clientela che prima mi mancava. Sebbene siamo stati operativi con il delivery grazie al quale ho coperto personalmente tutta Roma, abbiamo inevitabilmente subìto un calo ma non è stata una cosa del tutto negativa: a livello tecnico e qualitativo la nostra produzione è migliorata, un vezzo che se vogliamo potrà essere impercettibile dal consumatore finale ma questo ci ha permesso di lavorare sulla qualità e non sulla quantità». Dalla serranda accanto il fratello Valentino rilancia sul tema birra che lo vede diretto protagonista in quanto birraio: tutte le loro spine sono, infatti, autoprodotte in collaborazione con i più rinomati birrifici italiani e non. Valentino rivela che alcuni stili hanno bisogno di una maturazione più lunga prima di essere attaccati per la spillatura, come le birre belghe che raramente vengono apprezzate in condizioni ottimali. Grazie a due celle a temperatura costante è stato possibile far riposare alcuni fusti che hanno raggiunto, così, la maturazione ideale per essere degustate. Il birraio e pubblican di Pork’N’Roll per iniziare commenta la Bambelg ottenuta con lievito belga e malti affumicati. «Si sentono delle note fruttate e un leggero affumicato come miele di castagno o caldarrosta; dopo tre mesi a tenuta ferma ne ha guadagnato anche il suo aspetto perché sembra più limpida, dal colore ambrato». Poi c’è una Dubbel ai fichi secchi in cui finalmente «tutti i sentori si sono perfettamente amalgamati e non prevale più il sapore intenso della frutta secca». Cambiando stile c’è una lager, la loro Helles Wahnsinn che avrebbero dovuto presentare i primi di aprile, più fresca delle precedenti. «È stata mantenuta a 3 gradi lagherizzando quasi 3 mesi. Più che di affinamento qui parliamo di lagherizzazione: questo è il momento giusto per consumarla».
In Piemonte c’è Umami, giovane azienda che produce aglio nero e derivati, scandagliata in uno dei nostri primissimi articoli. Sebbene inizialmente Guglielmo Lujan e sua moglie Alice Giusto, i due biologi fondatori di questa start up di ricerca e sviluppo, hanno conquistato l’alta ristorazione legandosi a Longino & Cardenal in qualità di partner distributore, durante la scorsa primavera non hanno avuto difficoltà ad ampliare il proprio raggio di azione verso il consumatore finale. Sono stati i clienti privati le new entry di questo virtuoso circuito, sempre grazie alla società che seleziona cibi rari e preziosi sulle migliori tavole che ha creato un esclusivo e-commerce dedicato alla linea di Umami, resa più appetibile per un pubblico casalingo. Oltre a riformulare un packaging e un quantitativo adatto per la vendita al privato e a videoricette per riprodurre a casa piatti di grandi chef, Umami ha sfruttato questo tempo per continuare a fare ricerca e nel 2021 c’è l’idea di lanciare un nuovo fermentato, oltre all’aglio nero e allo scalogno nero, che implicherà la trasformazione di inaspettati vegetali senza escludere il mondo della frutta. «Nessuno spoiler al momento, non voglio avvantaggiare troppo la concorrenza!», chiosa ironicamente Guglielmo.
Sulle nuove possibilità del consumo casalingo, incentivati dal contagioso utilizzo di lievito e farina, ha riflettuto anche Farina Petra di Molino Quaglia che ha messo a punto nuove farine nate sotto la quarantena Quindi, partendo da una farina professionale sono riusciti a commercializzarne una per l’uso domestico con i migliori grani scelti dalla famiglia di mugnai di tradizione centenaria e macinati con la tecnologia più avanzata oggi disponibile in Italia. La farina dei grandi chef, adesso ideale anche per impasti casalinghi, è veicolata da Al.ta Cucina che, come prima ricetta realizzata in collaborazione con Farina Petra di Molino Quaglia, ha condiviso sui social un cannolo, sublimato da una croccante cialda ripiena di una cremosa ricotta di pecora zuccherata.
In Veneto c’è un’altra eccellenza artigianale che porta il nome di Olivieri 1882. Questa pasticceria con più di 130 anni di storia, nell’ultima Pasqua ha ottenuto un record contro ogni aspettativa: a negozio chiuso per la vendita diretta il fatturato di aprile 2020 ha registrato un +40% rispetto allo scorso anno e ben 7 mila colombe vendute tramite e-commerce a fronte delle 5 mila prodotte nel 2019. Un boom di vendite inaspettato che ha permesso a Nicola Olivieri, pastry chef e titolare del brand, di devolvere 10 mila euro agli ospedali di Vicenza e Arzignano.
Percorrendo la Costiera Amalfitana gli antichi sapori della gastronomia locale sono racchiusi nella tavola di un ristorante fresco di stella Michelin che già a novembre aveva rimandato i festeggiamenti a causa della consueta chiusura invernale. È il caso di Glicine dell’hotel Santa Caterina di Amalfi che ha, però, trovato il tempo di rifarsi il look. Infatti, la riapertura del neo stellato, capitanato dallo chef Giuseppe Stanzione, è avvenuta con un’attesa novità: il totale rinnovamento delle cucine, un intervento complicato e oneroso, a lungo rimandato, e dal risultato invidiabile. La nuovissima cucina risulta, così, al passo con i tempi, tecnologica e dotata di un sistema software molto avanzato che consente di calibrare e abbattere i consumi. La zona di lavaggio è poi pensata in maniera sostenibile e i consumi sono inferiori di un terzo rispetto agli standard mentre lo smaltimento è gestito da un sistema di triturazione.
C’è, poi, chi ha avuto molto tempo non solo per cucinare ma anche per scrivere. Come Valentina Scarnecchia, food blogger e cuoca provetta, che dalla sua Genova ha messo nero su bianco il primo romanzo: “Io e te, a un metro di distanza”. In attesa di rivederla in autunno sul piccolo schermo con un progetto dedicato alle eccellenze del territorio e dei suoi prodotti, Valentina si è cimentata nelle vesti di romanziera dando forma a una narrazione ironica e leggera. Il libro, edito da Leggereditore, racconta di una ragazza e delle sue storie d’amore, prendendo spunto dalla propria esperienza personale e dai racconti delle persone a lei più vicine, spesso menzionate sui suoi social negli ultimi mesi. I protagonisti si chiamano Renzo e Lucia, vivono a Milano e piombano in una città silenziosa e angosciata, dove si ritrovano divisi dalla pandemia. Valentina è stata abbastanza ispirata…