Era dai turbolenti anni Novanta che i cittadini serbi non assistevano a interventi così brutali della polizia come quelli che hanno avuto luogo durante la dispersione delle manifestazioni di protesta organizzate la scorsa settimana a Belgrado.
Secondo gli ultimi dati, ancora non ufficiali, riportati dai media, oltre 150 persone sono state arrestate durante le proteste scoppiate lo scorso 7 luglio a Belgrado, per poi diffondersi in altre città serbe. La polizia ha reso noto che 130 agenti hanno chiesto aiuto medico dopo i disordini, mentre il numero esatto di manifestanti feriti non è ancora noto.
A scatenare le proteste è stato l’annuncio del presidente Aleksandar Vučić di voler reintrodurre il coprifuoco a Belgrado, cioè il divieto di uscire di casa dal venerdì al lunedì, a causa dell’aumento di contagi e morti da coronavirus. Poche ore dopo l’annuncio di Vučić, migliaia di cittadini si sono radunati davanti al palazzo del parlamento a Belgrado per protestare contro la decisione di imporre di nuovo il coprifuoco.
L’annuncio di un nuovo coprifuoco è stato solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso del malcontento dei cittadini per il modo in cui la leadership al potere si è comportata negli ultimi mesi. Dopo la revoca dello stato di emergenza – introdotto senza passare per il parlamento – e delle misure di contenimento del contagio, alla vigilia delle elezioni politiche del 21 giugno scorso il governo ha consentito lo svolgimento di tutti quegli eventi che dovrebbero essere vietati durante una pandemia: partite di calcio con tribune piene di tifosi, feste per il diploma di maturità, celebrazioni religiose, comizi elettorali con una massiccia partecipazione di pubblico. Il risultato è che, alcune settimane dopo la revoca delle misure restrittive, la Serbia è stata definita come il principale focolaio di coronavirus in Europa.
Nel frattempo è emerso che esistono due statistiche ufficiali, divergenti tra loro, sui casi di contagio e decessi da Covid 19, e anche Predrag Kon, uno dei medici responsabili dell’Unità di crisi per il contenimento del contagio istituita dal governo serbo, ha chiesto una revisione dei dati, spiegando che gli esperti dell’Unità di crisi hanno ottenuto e comunicato all’opinione pubblica solo quei dati che ora risultano inferiori a quelli effettivi. Stando alle parole del dottor Kon, in questo momento la situazione epidemiologica in Serbia è peggiore di quella ad aprile e negli ospedali a Belgrado non ci sono più posti letto liberi.
I funzionari statali hanno più volte accusato i cittadini di essere i principali responsabili del peggioramento della situazione epidemiologica in Serbia, respingendo ogni ipotesi secondo cui la ripresa dei contagi sarebbe conseguenza di alcune decisioni sbagliate prese dal governo.
L’inizio delle proteste è stato contrassegnato da un gesto compiuto da uno dei manifestanti che, davanti alle telecamere dell’emittente N1, ha affermato: “Papà, questo è per te”, raccontando che suo padre era morto per Covid 19 in un ospedale di Belgrado perché non c’erano abbastanza respiratori per tutti.
Quella stessa sera sono scoppiati i primi scontri tra una parte dei manifestanti e la polizia, alcuni gruppi di destra hanno fatto irruzione nella sede del parlamento, mentre alcuni hooligan hanno lanciato torce da stadio contro la polizia che ha risposto con lacrimogeni e manganelli.
A molti è sembrato che questo scontro fosse stato creato artificiosamente, perché tra i manifestanti violenti c’erano anche alcune persone vicine alla leadership al potere. Il giorno dopo il regime ha lanciato un contrattacco, dispiegando unità speciali con mezzi blindati, polizia a cavallo, agenti in borghese che hanno picchiato e arrestato molti manifestanti, lanciando una quantità di lacrimogeni mai vista prima a Belgrado.
Un aspetto che ha colpito molti è che i manifestanti violenti che hanno provocato gli agenti di polizia, lanciando pietre e torce da stadio contro di essi, se la sono passata meglio di tutti. La polizia ha infatti evitato di colpirli con gas lacrimogeni, mentre molti cittadini sono stati brutalmente picchiati anche dopo aver cominciato a disperdersi. Oltre 20 giornalisti sono stati aggrediti durante le proteste, non solo da parte della polizia ma anche da parte dei manifestanti. Alcuni giornalisti hanno riportato gravi ferite.
Di giorno in giorno stanno emergendo nuove testimonianze dei cittadini che sono stati posti in stato fermo non solo per aver partecipato alle proteste ma anche a causa di alcuni post pubblicati sui social network, nonché informazioni sui “tribunali ad hoc” dove alcuni cittadini che hanno partecipato alle proteste sono stati condannati a 30 giorni di reclusione, senza garantire loro un giusto processo.
La rivolta spontanea
In questo momento è difficile capire perché Aleksandar Vučić abbia mobilitato così tanti agenti di polizia e impiegato un’incredibile quantità di forza contro alcune migliaia di manifestanti, tra i quali c’era un centinaio di hooligan. Negli ultimi otto anni – quanti ne sono passati da quando Vučić è arrivato al potere – in Serbia ci sono state molte proteste, alcune ben più massicce di quelle attuali, ma la polizia non ha mai reagito con tanta violenza come nei giorni scorsi. Lo stesso Vučić ha affermato che a Belgrado sono stati dispiegati 4000 agenti di polizia, un numero decisamente sproporzionato rispetto alla reale minaccia rappresentata dalle proteste.
Forse uno dei motivi di tale reazione di Vučić risiede nel fatto che una parte dei manifestanti, perlopiù giovani, si è radunata in modo del tutto spontaneo, organizzandosi sui social network. Altri manifestanti – meno numerosi, ma estremamente violenti – provengono da vari gruppi di estrema destra. Un altro aspetto da sottolineare è che i leader dei partiti di opposizione partecipano alle proteste e appoggiano i cittadini, ma non sono impegnati nell’organizzazione delle manifestazioni.
In alcuni momenti è sembrato che nella piazza antistante il palazzo del parlamento si svolgessero più manifestazioni parallele; si sono potute sentire diverse richieste, come le dimissioni dei membri dell’Unità di crisi a causa dell’aumento dei contagi, il rispetto della libertà dei media, l’annullamento dei risultati delle elezioni, la formazione di un governo ad interim, ma anche la richiesta di mantenere il Kosovo all’interno della Serbia.
La mancanza di un chiaro obiettivo, di una solida organizzazione e di una forza politica in grado di articolare il malcontento dei cittadini potrebbe essere uno dei motivi per cui le proteste hanno iniziato a sgonfiarsi. Alla manifestazione tenutasi domenica 12 luglio a Belgrado hanno partecipato solo poche centinaia di cittadini, e in altre città ancora meno.
Uno dei possibili motivi per cui il regime ha reagito con tanta violenza alle proteste è dovuto al fatto che proprio in questi giorni, dopo 20 mesi di stallo, sono ripresi i negoziati tra Serbia e Kosovo sotto l’egida dell’Unione europea. Durante il primo incontro sono stati anticipati alcuni “nuovi argomenti” da affrontare e – stando alle parole del rappresentante speciale dell’UE per il dialogo tra Belgrado e Pristina Miroslav Lajčák – sono stati concordati “punti chiave del processo” negoziale, ma nessun altro dettaglio è stato reso noto all’opinione pubblica serba.
Il presidente Vučić ormai da anni parla di un suo piano per il Kosovo, ma non lo ha mai presentato ai cittadini. Vučić potrebbe cercare di sfruttare i disordini verificatisi nei giorni scorsi a Belgrado e le proteste scoppiate in tutta la Serbia, e soprattutto la rivolta della destra, spontanea o montata che sia, come un asso nella manica nel dialogo con il Kosovo per dimostrare che, qualora la leadership di Belgrado dovesse essere sottoposta a pressioni durante i negoziati, in Serbia scoppierebbe il caos. Il presidente potrebbe usare i recenti fatti anche come un monito per avvertire i cittadini come finirà ogni eventuale futura protesta.
Codice Morse
Il governo ha additato come principali responsabili delle violenze verificatesi durante le proteste i servizi segreti stranieri, sia quelli russi che quelli dei paesi vicini, la cui offensiva logistica contro la Serbia è, stando alle parole di Vučić, “più forte che mai”.
A Belgrado sono stati arrestati alcuni cittadini stranieri, uno dei quali – come ha affermato Vučić – aveva con sé “il codice Morse e tutte le mappe dettagliate di Belgrado con alcuni edifici evidenziati”. La leadership al potere ha accusato anche uno dei principali leader dell’opposizione, Dragan Đilas, di aver organizzato e finanziato le proteste, scagliandosi anche contro il Partito socialista serbo (SPS), partner di coalizione del partito di Vučić nel governo uscente, accusato di aver partecipato alle proteste.
Quando, una decina di giorni fa, gli studenti dell’Università di Belgrado sono scesi in strada per protestare contro la decisione di Vučić di chiudere le residenze universitarie a causa dell’aumento dei contagi, il presidente ha revocato la decisione e le proteste si sono fermate.
Questa volta però, nonostante il coprifuoco annunciato da Vučić non sia stato introdotto, le proteste dei cittadini in molte città serbe sono proseguite. Nonostante le manganellate e gli arresti, nonostante la paura dell’epidemia, i cittadini non si sono fidati della “buona volontà” di Vučić e ogni giorno hanno continuato a scendere in strada per protestare.
In questo momento in cui dispone del massimo del potere, in cui il suo partito ha conquistato la maggioranza di due terzi del parlamento, in cui controlla i media più seguiti e tutte le istituzioni statali, Vučić ha la responsabilità maggiore.
È lui a prendere tutte le decisioni, da quelle su come contrastare l’epidemia con un sistema sanitario devastato a quelle riguardanti i negoziati con il Kosovo, fino alle decisioni su quanti poliziotti dispiegare per le strade e con quanta violenza disperdere “la più ridicola delle proteste”, come ha definito le manifestazioni di questi giorni.