Ama la serie AIl gol di Musa Juwara all’Inter non è un caso, è un progetto nobile del calcio italiano

Il programma della Federcalcio per portare in campo i ragazzi dei centri Sprar di tutta Italia funziona, perché non ha l’obiettivo di formare i campioni di domani, ma di costruire un sistema di inserimento nella società a partire dal gioco più popolare

Immagine fornita dalla Figc

Domenica scorsa il Bologna ha battuto l’Inter a San Siro (1-2) con una rimonta sorprendente. La squadra rossoblu era ancora in svantaggio a un quarto d’ora dalla fine della partita, quando un gol del giovane attaccante cambiano Musa Juwara, ha riportato il punteggio in parità con un sinistro potentissimo dal limite dell’area.

Musa Juwara è un ragazzo di 18 anni arrivato in Italia il 10 giugno del 2016. Era a bordo della nave tedesca Fgs Frankfurt, che aveva salvato lui e altri 535 migranti salpati a bordo di un barcone dal Nord Africa: all’epoca Juwara non aveva ancora compiuto 15 anni, e aveva affrontato il Mediterraneo pur non sapendo nuotare.

La nave sbarcò a Messina e poco dopo Juwara venne mandato in un centro di accoglienza a Potenza. Lì iniziò a giocare in una squadra locale dilettantistica e rapidamente si mise in mostra per le sue qualità: a un anno e mezzo dal suo arrivo in Italia, a gennaio 2018, il Chievo Verona lo aggregò alla sua squadra Primavera, poi in rapida successione arrivarono l’esordio in Serie A, l’acquisto da parte del Bologna, la prima in Coppa Italia lo scorso 4 dicembre, e il primo gol nella massima divisione, proprio domenica scorsa.

La storia di Juwara è una storia eccezionale di riscatto e di successo sportivo, ma è prima di tutto un percorso di integrazione perfettamente riuscito. È per questo motivo che la Federcalcio dal 2015 lavora per rendere sistematiche, e non casuali, storie come quelle di Juwara.

Lo fa grazie al “Progetto Rete!”, un’iniziativa rivolta ai ragazzi degli Sprar/Siproimi (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) del ministero dell’Interno per favorire l’inclusione dei giovani arrivati in Italia.

«Il nostro obiettivo non è lo sviluppo di campioni, ma l’integrazione di questi ragazzi nel tessuto sociale italiano», spiega il segretario nazionale del settore giovanile e scolastico della Figc Vito Di Gioia. «Non abbiamo rapporti diretti con le società professionistiche perché vogliamo tenere a distanza mercanti e procuratori di ogni sorta. Poi inevitabilmente i ragazzi che hanno talento possono trovare una squadra, molti sono arrivati al professionismo, ma non è il nostro obiettivo. Quello che vogliamo è creare una connessione con lo sport locale».

Il progetto dialoga con il Viminale per contattare i centri attivi su tutto il territorio nazionale. Poi lavorando a livello locale con i Comuni e le cooperative vengono coinvolti i ragazzi tra i 14 e i 19 anni per iniziare un percorso di crescita all’interno sistema sportivo della Figc.

«Mettiamo a disposizione – spiega a Linkiesta il responsabile del progetto Fabrizio Tanzilli – campi, divise, palloni e tutto l’occorrente, poi i nostri tecnici regionali o territoriali li fanno allenare, li coinvolgono, li aiutano ad aggregarsi alle società dilettantistiche locali. Chiaramente tutto su base volontaria, ci sono anche ragazzi a cui non piace e scelgono di non partecipare».

Inoltre il “Progetto Rete!” organizza anche un torneo stagionale di calcio a sette in cui uno o più centri Sprar formano le loro squadre e si affrontano in un format che parte da sfide locali per poi allargarsi al territorio regionale, interregionale e nazionale.

«Abbiamo numeri in crescita costante, abbiamo coinvolto circa 2.600 ragazzi in sei anni. Il grande sforzo è che non si tratta di interventi spot, non ci limitiamo a regalare una giornata di calcio e basta. Qui c’è un lavoro continuativo di sette o otto mesi con ognuno di loro, guidandolo passo dopo passo in un percorso di integrazione».

È capitato che alcuni giovani promettenti siano partiti dal torneo federale per arrivare fino alle porte del professionismo. È il caso di Abdoulie Dampha, ragazzo del Gambia arrivato in Italia a 14 anni che nel “Progetto Rete!” ha trovato una vetrina: nel 2016 è stato scovato dagli osservatori del Trapani che lo hanno aggregato alla squadra Primavera.

Ma anche la storia di Dampha, come quella di Juwara, non va letta in chiave calcistica. Come dice Vito Di Gioia: «Questo progetto è il più ampio in Italia in termini di integrazione dei rifugiati. E abbiamo il merito di aver fatto scuola: il progetto è stato emulato da tante federazioni europee che hanno un alto numero di rifugiati, come Malta e Grecia. Quando è partito nel 2015 era uno dei primissimi progetti in Europa. Così oggi tante federazioni hanno un’offerta sportiva di integrazione di questo tipo, ognuna con le sue modalità, con la sua organizzazione, ma ricalcata sul “Progetto Rete!”».

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