Parker Molloy è una transgender che collabora a varie testate e che, nella bio sul suo sito, rivendica d’essere stata, nel 2016, menzionata in un articolo sulle trenta donne sotto i trent’anni che avrebbero cambiato le elezioni presidenziali. Le hanno cambiate talmente tanto che ha vinto Trump, ma non divaghiamo.
Quello della Molloy è il primo tweet contro la lettera di Harper’s che mi sia comparso su Twitter, e resta il più bello. Erano le sei di pomeriggio di martedì e, in risposta a un collaboratore di The Nation che commentava i firmatari con un ficcante «pensare quanti di questi buffoni hanno un patrimonio di più d’un milione di dollari», Molloy rilanciava: «E nessuno di loro è stato censurato in tempi recenti».
Tra i firmatari c’è Salman Rushdie, ma in effetti, se ti vogliono ammazzare perché hai scritto un romanzo, tecnicamente non si configura come censura. A meno che tu non sia vegano, celiaco, bisessuale, e altre fragilità riconosciute dall’albo di Twitter. Se sei maschio etero sciupafemmine, una fatwa non basta.
Poi è arrivata (dopo molti altri, ma qui facciamo una selezione del meglio, perché un elenco di chi si è espresso contro la lettera di Harpers includerebbe chiunque tenga alla propria reputazione, cioè un’ampia parte del milieu culturale americano, non esattamente un covo di cuor di leoni) Emily VanDerWerff, che scrive di tv e altri àmbiti culturali per Vox e che, per dire quant’è portata a prenderla bassa, scrisse che quando si era dichiarata transessuale aveva iniziato a sognarsi, la notte, protagonista del Racconto dell’ancella, perseguitata per le sue scelte sessuali (scelte che hanno il beneplacito di tutto il mondo culturale americano, cioè dell’ambiente con cui ella ha quotidianamente a che fare).
VanDerWerff ha messo su Twitter una lettera scritta ai suoi capi, una lettera che fa sembrare George Orwell un autore di romanzi rosa, e il personaggio di Mia Farrow in Mariti e mogli una nient’affatto passivaggresiva.
Accade infatti che tra i firmatari della lettera ci sia un editorialista di Vox, Matt Yglesias. Stralcio della lettera di Emily Miafarrow: «In quanto donna trans […] mi ha molto rattristata […] Naturalmente ha diritto alla sua opinione […] Ma la lettera contiene diversi ammiccamenti alle posizioni anti-trans […] e il fatto che l’abbia firmata mi fa sentire meno al sicuro a Vox […] La sua firma rende più difficile il mio lavoro […] Non voglio che sia redarguito o licenziato o che gli sia chiesto di scusarsi».
Ci sono due cose che dovete sapere di questa traduzione.
La prima è che «ammiccamenti» rende assai approssimativamente l’espressione «dog whistles» (richiamo per cani), che viene usata per dire che qualcuno usa strategicamente frasi che, pur senza esprimere esplicitamente posizioni retrograde, facciano capire alla peggio destra che quel qualcuno è dalla loro parte. Leggete la lettera, e giudicate da voi se contiene dog whistles: come direbbe Emily, io non voglio influenzarvi.
La seconda è che sentirsi meno safe non è il niente che sembra a noi, anzi, è il ricatto definitivo. Tutto questo neomaccartismo nasce dalle università e dai safe space, cioè dalla convinzione che nessuno debba mai essere messo a disagio in nessun modo, che nessuna convinzione “di sinistra” debba essere messa in discussione (è perché le università siano safe space che vengono annullate le conferenze di oratori non conformi alla liturgia liberal, o viene tolta dalla lista di letture robaccia chiaramente repubblicana come Shakespeare).
Da quel che si ricostruisce, il risultato di questo ricatto morale è che Yglesias (che di Vox è cofondatore) ha concordato con l’altro fondatore, Ezra Klein, di non commentare la vicenda in pubblico. Però poi Klein non ha resistito e ha twittato: «Molti dibattiti vengono venduti come riguardanti il tema della libertà di parola, ma in realtà riguardano il potere. E c’è moltissimo potere nell’avocare a sé il vessillo di difensori della libertà di parola». Yglesias prima risponde «Devo risponderti con un esempio concreto o devo rispettare i nostri accordi?», poi cancella (non perché ci sia da temere per la propria carriera nei media se ci si mette contro il neomaccartismo, per carità: gli sarà scappato il dito sul touchscreen), poi va a ripescare un tweet di Klein di gennaio: «Twitter perlopiù sembra volere una politica in cui si lavora o ci si allea solo con gente con cui si è pressoché totalmente d’accordo. Ma riuscire a ottenere qualche risultato nel nostro sistema richiede di lavorare con gente con cui sei spesso in disaccordo». (Fuori da Twitter, è un concetto chiaro a chiunque abbia superato l’età delle assemblee d’istituto).
La dice meglio Malcolm Gladwell, tra i firmatari: «Ho firmato la lettera di Harpers perché c’erano molti, tra i firmatari della lettera di Harper’s, coi cui punti di vista non ero d’accordo. Credevo fosse esattamente quello, il punto della lettera di Harper’s».
Era il punto, lo sarebbe stato, sì. Ma naturalmente la constatazione della lettera che a sinistra siano ormai normali l’«intolleranza dei punti di vista opposti, la moda del pubblico ostracismo e sputtanamento, e la tendenza ad affrontare complesse questioni politiche con accecanti certezze morali» era del tutto infondata, come hanno dimostrato coloro che, terrorizzate che nessuno volesse più giocare con loro in cortile all’intervallo, hanno ritirato la firma.
Le prime sono state la storica Kerri Greenidge e la scrittrice Jennifer Finney Boylan, che ha twittato: «Non sapevo chi altro avesse firmato la lettera. Pensavo di dare il mio appoggio a un benintenzionato, sebbene vago, messaggio contro gli sputtanamenti social. Sapevo che c’erano Chomsky, Steinem, e Atwood, e pensavo d’essere in buona compagnia».
Che le buone cause siano solo quelle di moda, e gl’impresentabili solo quelli che s’oppongono alla morale di moda al momento, lo sintetizza bene l’intellettuale inglese David Badiell, che così commenta il tweet in cui la Boylan rimpiange l’illusione d’essere in selezionata compagnia di Chomsky e pochi altri rispettabili: «È interessante che Boylan si voglia dissociare da JK Rowling, le cui opinioni sente eccedano quel che è la normale libertà di parola, mentre non vede l’ora di affiancare Chomsky, che è stato il principale intellettuale a sostenere il diritto alla pubblicazione di Robert Faurisson, il padre del negazionismo».
Lettera contro l’abitudine di Twitter di svergognare chi ha un’opinione diversa finisce con Twitter che svergogna chi l’ha firmata. Chi ha bisogno della satira, quando la realtà si fa da sola la parodia. Chi ha bisogno della destra autoritaria, quando la sinistra tremebonda e prepotente si censura da sola.