Per fortuna studiare il nemico non va più di moda.
Per fortuna, lo dice il ragionamento stesso, con la cancel culture il nemico lo cancelli: non lo clicchi, non lo leggi, non lo scarichi. Neanche per essere informato sulle sue mosse, che dovrebbe essere un requisito di base nelle guerre, sebbene culturali.
Per fortuna Long Distance Relationship lo sto ascoltando solo io.
Riassunto delle cancellazioni precedenti.
Louis CK era un comico americano di travolgente successo, poi è arrivato il MeToo. Nei giorni della caccia agli sbottonatori di pantaloni, autunno 2017, i bracconieri del New York Times hanno intervistato alcune signorine che hanno spiegato di non aver fatto carriera nella comicità perché traumatizzate dal fatto che, a un certo punto, CK avesse chiesto loro «Ti spiace se mi faccio una sega davanti a te?» e, non avendo loro risposto «Ma sei scemo?» (siamo così: dolcemente complicate e mai con la risposta pronta), avesse poi proceduto a menarselo.
Era grande materiale comico, e l’ingenua in me pensava che il tapino non sarebbe mai più riuscito a salire su un palco senza che ridessimo di lui (di lui, non con lui).
Invece è andata come vanno le cose nelle stagioni del terrore: che non è proprio più salito su un palco americano, per un paio d’anni.
Fu un discreto esempio di cosa intendesse Mogol con «Ho visto la mia fine sul suo viso»: la sera doveva esserci la prima del suo primo film da regista (poi mai uscito), doveva andare in tv a promuoverlo (ovviamente non ci andò), doveva girare la nuova stagione della sua serie (annullata), lavorare alle nuove stagioni delle serie che scriveva (licenziato per inadeguatezza morale). Che nessuno abbia ancora scritto un grande film su questa parabola da cento a zero in un pomeriggio è invero inspiegabile.
Comunque. Come tutta la gente di talento CK non frigna che la sua carriera è stata rovinata da tizie che cercano scuse per il loro insuccesso, ma ricomincia da dove può. Cioè dall’Europa, che è ancora un posto in cui copiamo svogliatamente il moralismo americano. Certo, eri il comico più di successo nel posto a più alto livello di comici di successo del mondo, New York, e ti ritrovi a fare spettacoli a Roma, ma se sei bravo troverai un qualche bicchiere mezzo pieno persino al Sistina.
CK ne trova uno a Parigi. Si fidanza. Lei si chiama Blanche Gardin, è una comica di gran successo in Francia, è molto bella, e si fidanza col più bravo. Insomma, le fan scalmanate di lui la vogliono morta, com’è ovvio sia.
La situazione comincia un po’ a normalizzarsi, e non solo nel senso che il più figo ha una bella fidanzata e noi la invidiamo. CK riprende a fare qualche spettacolo negli Stati Uniti, la tv e il cinema non glieli fanno fare ma i teatri non possono impedirgli di riempirli, e mette in vendita sul suo sito lo spettacolo che aveva portato anche in Italia (quello in cui diceva che se chiedi a una donna il permesso di fare qualcosa di sessuale e lei ti dice di sì devi indagare oltre il primo sì, perché le donne sono abituate a compiacerti e non è detto che sì significhi sì, anche gli schiavi nei campi di cotone cantavano gli spiritual, ma mica si stavano divertendo; i moralisti, sempre assai ricettivi rispetto al piano del simbolico, ne avevano concluso che nello spettacolo CK non parlasse delle accuse sessuali).
Poi arriva il virus.
E a quel punto cosa fa un uomo di genio? Ci fa pagare per ascoltare le telefonate con la fidanzata, lei da Parigi lui da New York. Long Distance Relationship, dieci conversazioni a cinque dollari.
All’inizio pensavo fosse come quel libro d’illustrazioni di Vahram Muratyan, Paris versus New York, con le contrapposizioni tra Amélie (Poulain) e Carrie (Bradshaw), tra Truffaut e Scorsese, tra la baguette e il bagel, tra la bateau-mouche e la circle line.
E perlopiù lo è, roba di differenze culturali: Louis dice che è molto razzista chiamare i giapponesi «jap», Blanche dice che loro (i parigini) dicono sempre «andiamo al jap» quando vanno a mangiare il sushi, Louis dice «è terribilmente razzista», Blanche dice «sì, lo so che lì sono razzista, ma qui no».
Ma poi, alla quarta puntata, arriva la mamma.
La mamma di Louis CK è morta, o almeno così ci ha raccontato lui nello spettacolo che ha portato in tour anche in Italia, narrandone il funerale. Non c’è ragione di credergli, è lo stesso spettacolo in cui aveva raccontato che lui e Blanche si erano lasciati, e invece a sentirli è evidente che siano in quella fase d’amore in cui le fastidiosità dell’altro ti fanno ridere invece d’infastidirti.
Forse è morta davvero, non cambia granché; fatto sta che alla quarta puntata CK decide di raccontarci – dopo qualche esitazione paracula, e dopo aver detto «magari in montaggio lo levo» – la telefonata furibonda della mamma quando uscì il pezzo del New York Times.
Tu, disse la mamma al suo piccino, hai normalizzato la masturbazione, tutti quei monologhi in cui ne parlavi, i ragazzi per merito tuo non si sentivano più in colpa, riuscivano a riderne, e invece ora. «Quando sono stato svergognato e sepolto e ucciso per essermi masturbato, mia mamma si è arrabbiata molto» (sembra l’incipit d’un film di Woody Allen, d’altra parte il suo film mai uscito sembrava un film di Woody Allen, d’altra parte Woody Allen ha raccontato che CK gli aveva offerto la parte del protagonista, quella d’un uomo che ha una storia con una ragazzina, e che non gli era sembrata una buona idea accettarla).
«A parte le persone arrabbiate con me per specifici incidenti, le sembrava che mi si svergognasse perché mi masturbavo, io che ero l’avanguardia culturale della masturbazione, e io dicevo mamma per favore smetti di parlarmi del fatto che mi faccio delle seghe, e invece lei no, tu ti fai delle seghe, ed è una cosa bellissima, e dovresti continuare. È una madre, sai come sono le madri: tu aiutavi la gente, facendoti le seghe, salvavi delle vite, e ora ti dicono che è sbagliato farsi le seghe. È il punto di vista d’una madre, rimuove molti dettagli essenziali». A quel punto interviene Blanche, che è francese, figuriamoci se si scandalizza, e dice con quell’inglese da ispettore Clouseau «io credo che dovresti continuare a farti le seghe. Pubblicamente», e poi lo paragona a un supereroe la cui importanza nessuno riconosce quando è in incognito. Il Clark Kent delle seghe.
E insomma, per fortuna che va di moda non ascoltare i cattivi, sennò sai che scandalo.