Fuoco lentoLa caduta delle cattedrali gotiche in Francia è lo specchio di una società in decadenza

Qualcosa non funziona nella patria di Napoleone. A incendiarsi nel cuore della nazione non sono solo Notre Dame e Nantes, ma i pilastri su cui essa è stata edificata: l‘eterno presente in cui si agitano i demoni del politicamente corretto e di un relativismo senza fine

afp

Cosa sta bruciando insieme alle cattedrali gotiche di Francia? Certamente opere d’arte di inestimabile valore e una parte non piccola del turismo di Parigi e di Nantes, ma, al tempo stesso, una certa idea della società francese che nei secoli è riuscita a conciliare il massimo della laicità con una delle più ferventi spiritualità europee.

Dalla rivoluzione francese in poi il Paese dove batte il cuore dell’Europa moderna ha fatto dell’ospitalità e della tolleranza le premesse per l’accoglienza di culture, opinioni, personalità del dissenso internazionale, aprendo le porte ad antifascisti italiani, ad intellettuali perseguitati e ad oppositori avversi a regimi dittatoriali di mezzo mondo fino al Grande Ayatollah sciita Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī che dalle sponde della Senna preparò la caduta del regime dello Scià di Persia Reza Phalevi nel 1979 e la rivoluzione fondamentalista che ha stabilito la teocrazia in Iran.

In forza della “Dottrina Mitterrand” applicata dal 1986 al 2002, la Francia è stata rifugio inviolabile anche per terroristi macchiatisi di reati di sangue nelle nazioni di provenienza, in base ad una pretesa superiorità della legislazione francese e ad una sua presunta e ipotetica maggiore aderenza alle norme e ai principi europei in materia di tutela dei diritti umani.

Il 21 aprile 1985, al 65º congresso della Lega dei diritti umani, François  Mitterrand dichiarava che i criminali italiani che avevano rotto con il loro passato violento ed erano fuggiti in Francia sarebbero stati protetti dall’estradizione: «(…) i rifugiati italiani che hanno preso parte in azioni terroristiche prima del 1981 (…) hanno rotto i legami con la macchina infernale a cui hanno partecipato, hanno iniziato una seconda fase della loro vita, si sono integrati nella società francese (…) Ho detto al governo italiano che erano al sicuro da qualsiasi sanzione di estradizione».

Dal tramonto del proprio impero coloniale esteso dall’Indocina all’Africa francofona è sorta una cospicua immigrazione che ha trasformato la metropoli parigina e altre città come Marsiglia e Strasburgo in società multi culturali e multi confessionali senza incontrare ostacoli nella costruzione di moschee e centri di cultura islamica. Una parte significativa della classe dirigente francese formatasi nel‘900 in poi presso École nationale d’administration (ENA), immaginata da Napoleone e fondata da Charles De Gaulle nel 1945, ha avuto genitori ed antenati nati fuori dalla Francia.

Emmanuel Macron, ex allievo al pari a Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac, e François Hollande, l’ha chiusa nel 2019 su pressione dei Gilet Gialli secondo i quali essa avrebbe rappresenta proprio “la culla di quella schiera di tecnocrati che hanno causato tante sofferenze alla gente comune”. La scuola, caratterizzata dall’estremo rigore di criteri di ammissione unici al mondo e trasferitasi dal 1991 da Parigi, dove mantenne la sede storica in Avenue de l’Observatoire, a Strasburgo, fu teatro nel gennaio del 2019, di una violenta manifestazione di protesta degenerata in scontri con la polizia. Chi scrive ebbe il privilegio di svolgere nella sede parigina un seminario sulla natura della Leadership con i giovani laureati del Distretto Rotary Sicilia e Malta, nell’aprile del 2013.

Il clamoroso annuncio della chiusura della “culla della casta” era stato programmato per la stessa sera dell’incendio di Notre Dame. La notizia, ovviamente, fu fagocitata da quella di maggior portata, passando inosservata.

Una cattedrale laica arsa nel silenzio generale sull’altare del consenso malato. Un altro frutto avvelenato del populismo internazionale la cui succursale italiana, forse, chiederà un giorno la nazionalizzazione di LUISS e Bocconi.

Parigi brucia? Ci sarebbe da chiedersi, memori del film del 1966 diretto da René Clément, ispirato all‘omonimo libro di Larry Collins e Dominique Lapierre che racconta il tentativo, non riuscito, dei nazisti in fuga il 25 agosto del 1944 di lasciarsi alle spalle un immenso rogo al posto della Ville Lumiere, come disposto da Adolf Hitler ormai farneticante.

«Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini!» recitava delle più famose “pasquinate” divulgate nel Seicento che figurava proprio questa frase satirica, indirizzata a papa Urbano VIII Barberini e ai membri della sua famiglia per gli scempi di cui si resero responsabili questi, in virtù delle cariche e dei poteri ottenuti, facendo danni alla città, dall‘interno, maggiori di quelli che avrebbero potuto esser causati da un‘invasione barbarica. 

«La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa» almeno secondo Karl Marx  che nel 1852 scrisse Il 18 brumaio di Luigi Napoleone Bonaparte, qualificando il vanesio nipote del grande Corso, prima presidente e quindi imperatore dei francesi, quale tardo e ridicolo epigono del più noto parente.

Possiamo avere l‘ardire di completare il pensiero dell‘ebreo di Treviri, essendo testimoni di nuove e più gravi tragedie, seppur nate come farse? Perché tragedia è stata quella della cattedrale di Parigi come quella dell‘Ena, come due giorni fa quella di Nantes e ciò prescindendo dal dolo, dalla trascuratezza o dall‘ignavia da cui esse sono state consumate.

L‘incendio che ha devastato la Cattedrale di Nantes, già oggetto in passato di altri episodi inquietanti è stato definito doloso dagli inquirenti e, personalmente, continuo a nutrire dubbi sull‘origine di quello parigino. Qualcosa non funziona nella Francia multi culturale di oggi come già aveva ipotizzato lo scrittore francese Michel Houellebecq nel discusso romanzo ucronico Sottomissione pubblicato nel giorno dell‘attentato alla sede di Charlie Hebdo nel 2015, a seguito del quale l‘autore ne sospese la promozione in Francia.

Questa la trama, in sintesi: “Parigi 2022. Alla fine del secondo mandato di François Hollande, la vittoria alle elezioni presidenziali va a favore di un partito islamico (Fratellanza Musulmana), che riesce a battere il Front National di Marine Le Pen al secondo turno, grazie all‘alleanza repubblicana siglata con il Partito Socialista Francese, l’Unione per un Movimento Popolare e l’Unione dei Democratici e Indipendenti, i raggruppamenti politici di socialisti, liberali e moderati.

Il governo del nuovo presidente Mohammed Ben Abbes, musulmano di seconda generazione, nomina François Bayrou come primo ministro e impone una sorta di Sharia attenuata, cui le élite francesi si adeguano quasi con piacere, collaborando con il nuovo regime, deliziati non solo dall‘idea di convertirsi ma di fare un vero e proprio atto di “sottomissione” all‘Islam e al suo autoritarismo rassicurante.

Avviene lo stesso per il protagonista François, professore di letteratura quarantenne dalla vita amorosa disastrata, specialista e cultore dello scrittore decadente Joris-Karl Huysmans, che per spirito di opportunismo e mancanza di fede nella religione cattolica, si converte all‘Islam per proseguire la sua brillante carriera in Sorbona IV, divenuta ormai in tutto e per tutto un‘università islamica finanziata dalla petromonarchia saudita e per poter progettare un matrimonio combinato con una o più studentesse, dal momento che la poligamia è stata frattanto legalizzata.”

Lo scrittore Antonio Scurati ha definito «profetico» il romanzo di Houellebecq, lodandone l‘impianto narrativo e l‘atteggiamento nichilista. Sciltian Gastaldi de Il Fatto Quotidiano ha recensito il romanzo «un‘occasione sprecata» sottolineando la mancanza di logica e la misoginia insite nel romanzo. Alessandro Baricco su la Repubblica ha dato un giudizio negativo di  Sottomissione, mettendone in evidenza, a suo dire, i difetti in termini di costruzione, originalità, ed inventiva.

«Sono molto poco soddisfatto del trattamento mediatico riservato al mio libro in Francia…il punto centrale non è l‘Islam, il mio è un attacco feroce all‘Occidente…non credo che l‘essere umano possa vivere in un mondo che cambia di continuo. L‘assenza di equilibrio, di un progetto di equilibrio, è di per sé invivibile. L‘idea del cambiamento perenne rende la vita impossibile». Così replicò l‘autore di tanto discusso romanzo.

Resta il fatto che quando cadono le cattedrali, laiche o religiose di una nazione, vanno in frantumi i pilastri su cui essa è stata edificata e si apre il vuoto in cui si agitano i demoni del politicamente corretto e di un relativismo senza fine.

Nè va trascurata l‘ipotesi che, specie per la cattedrale di Nantes, eventi simili possano alimentare la destra lepenista nell‘ambito di una strategia della tensione che in Italia abbiamo ben conosciuto negli anni ‘60 ma che ebbe nell‘incendio del Reichstag nel 1933 un inquietante precedente.

Murder in the Cathedral è il titolo della nota opera teatrale di Thomas Stearns Eliot. Ispirato dallo storico episodio all‘assassinio dell‘arcivescovo cattolico di Canterbury, Thomas Becket, avvenuto nel 1170 nella cattedrale omonima. Il dramma è visto in particolare come critica al regime nazista, specie in chiave di sovversione rispetto agli ideali della Chiesa cattolica e rappresenta un capolavoro di denuncia della brutalità del potere assoluto che pretende di asservire anche la spiritualità.

Parte del materiale originale del testo fu da Eliot rimosso su richiesta dell‘editore e trasformato in un poema a sé stante che raccoglie i Quattro Quartetti intitolato Burnt Norton (letteralmente “Norton bruciato”) la cui epigrafe, tratta da Esiodo, può essere così tradotta, «benché la saggezza sia comune a tutti, la maggior parte degli uomini vive come se ognuno avesse una saggezza propria».

Ma, il monito con cui è possibile concludere questo scritto si trova nel primo dei quattro quartetti che compongono l‘opera:

“Presente e passato/Sono entrambi forse presenti nel futuro/E il futuro è contenuto nel passato/Se tutto il tempo è eternamente presente/Tutto il tempo è irredimibile/Ciò che sarebbe potuto essere è un‘astrazione/Rimanendo una possibilità perpetua/Solo in un mondo di speculazione/Ciò che sarebbe potuto essere e ciò che è stato/Vanno verso una fine, che è sempre il presente/Passi echeggiano nella memoria/Giù per quel passaggio che non abbiamo preso/Verso la porta che non abbiamo mai aperto/Nel roseto.”

Forse, ciò che in questo incomprensibile XXI secolo sta bruciando nella Francia laica e spirituale al tempo stesso, simbolo dell‘umana speranza in terra, icona dell‘Europa più desiderata, nonostante proprio essa ne abbia affossato nel 2007 in sede di ratifica la nascente Costituzione, non è il passato né il futuro, ma l‘eterno presente in cui, come nel Labirinto, vaghiamo senza scorgere una via d‘uscita, in cerca del filo che ci salvi, mentre ripetiamo in un mantra ossessivo ma consolatorio i versi di Eugenio Montale:

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”