Soncini in ParlamentoL’epoca dell’autocommiserazione e lo spettacolo grottesco della politica che straparla di natalità

Tra concetti improbabili e picchi demenziali, il dibattito parlamentare sui figli si arena sempre sugli stessi scogli surreali: vittimismo, sistema previdenziale che sta per saltare per colpa di chi non è genitore e quanto stava bene nostra nonna senza acqua corrente e con le bombe in testa

FILIPPO MONTEFORTE / AFP

Il primo a parlare è uno del Pd, e spiega, tra le altre cose, che l’assegno unico universale, una «riforma epocale», «come quando nel 1978 venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale», che questa mancetta per cittadini scemi che non sanno di voler figliare ma li puoi convincere con la busta di Natale come quella che ti passava nonna, spiega, dicevo, quello del Pd, dicevo, il partito di sinistra che evidentemente ci meritiamo, dicevo, che «la possibilità di risorse certe» sarà risolutiva per convincerci «davanti a gravidanze indesiderate».

D’altra parte chiunque abbia abortito sa che, se avesse avuto la possibilità d’una mancetta statale, si sarebbe volentieri accollata quaranta settimane di gravidanza, lo sfondamento dell’apparato genitale, e una vita di preoccupazioni; è solo perché non c’era il Pd a pensare a lei che ha scelto di non figliare.

Adesso che mi sono tolta lo sfizio di sottolineare questo picco di demenza, possiamo passare a ricostruire lo spettacolo d’arte varia del dibattito parlamentare sulla natalità, una discussione che ha fatto sembrare le conversazioni su Twitter una tavola rotonda all’Algonquin.

Sempre il tizio del Pd: «Generare è innanzitutto una straordinaria e unica esperienza» (ma se è straordinaria come facciamo a essere miliardi? D’altra parte una di Fratelli d’Italia, un’oretta più tardi, dirà «straordinaria com’è giustamente la nascita di ogni vita», e pare quindi che i nostri eletti soffrano d’un’ordinariamente scarsa proprietà di linguaggio); «un paese impaurito, che non fa figli e tiene i risparmi sul conto corrente» (invece di sputtanarsi tutti i soldi e poi quando li ha finiti figliare); «abbiamo il paradosso per cui gli incapienti non beneficiano delle detrazioni per i figli a carico» (ma le detrazioni non sono fiscali? e gli incapienti non sono quelli che non avendo soldi le tasse non le pagano? da cosa devono detrarre, di grazia?).

Poi arriva la prima parlante di Fratelli d’Italia, e ci spiega che lei è molto affezionata al primo articolo della Costituzione, ce lo declama, ci ribadisce che è il primo (metti che fossimo stati rimandati in educazione civica), e insomma, «la prima cosa da fare è stabilire se dobbiamo dare lavoro ai genitori o soldi ai figli»: ma il lavoro ai genitori non glielo danno i datori di lavoro? Deve assumerli tutti lo stato? Altri navigator?

Prosegue evocando questo periodo difficile con «moltissimi malati che saranno dei malati anche psicologici» (sarà il caldo), e ci dice che «la maternità è molto complessa» (e io che credevo che i figli li facessero anche i gatti), e conclude lirica come una che abbia letto una riduzione di Simone de Beauvoir pensata per i baci Perugina: «La maternità non si ordina, la maternità si sente, che cosa vuol dire essere madre, che cosa vuol dire essere donna».

Quando arriva una di Italia viva, mi accorgo di cos’era mancato fin qui: il più insopportabile dei tic lessicali, l’uso di «bimbo» come sinonimo invece che come vezzeggiativo. «Circa un quinto di bimbi nati», dice la signora, che diversamente dai titolisti dei quotidiani non ha neanche la scusa che «bambini» sia troppo lungo e non stia nella riga.

La rappresentante di Italia viva a un certo punto sfiora senza accorgersene una grande indicibile verità. È quando riferisce che, secondo uno studio sulla natalità in Italia, «le donne nate nel 1941 all’età di 24 anni avevano avuto circa il quadruplo dei figli rispetto a quelle nate nel 1977».

Ovvero: le nate nel ’77 non ci pensavano proprio a riprodursi a 24 anni, quand’erano impegnate a essere fuoricorso all’università.

Mia madre, nata nel ’41, figliò a 31 anni, l’età che secondo le statistiche citate da Italia viva è diventata quella media del primo parto solo nel 2018: ma quelle che potevano permettersi di studiare già nei primi anni 70 si guardavano bene dal preferire la gestazione.

L’indicibile è indicibile perché – se un politico ammettesse che è ovvio che una donna con tutte le possibilità del mondo davanti a sé si riproduca meno volentieri rispetto a una che viveva in un’epoca in cui figliare era l’unica mansione possibile, è evidente che una scarsa natalità sia segno d’una maggiore qualità della vita – verrebbe accusato d’aver mandato in rovina il sistema previdenziale.

Sì, siamo sette miliardi in giro per il mondo (perlopiù in paesi in cui l’assegno e gli asili e tutte le altre prebende che ci sembrano indispensabili non ce le hanno), ma a noi serve che si figli qui, che ci sia carne fresca per pagarci le pensioni.

Quello del Pd che ha aperto il dibattito ha menzionato «L’insostenibilità da qui a vent’anni del sistema previdenziale attuale», e in due ore e mezza nessuno gli ha risposto: E allora perché non avete tolto quota cento, invece di sperare che le donne del 2020 si riproducano come quelle che non avevano né contraccettivi né carriere?

Quando arriva un’altra di Fratelli d’Italia e dice che i nostri nonni avevano la speranza nel cuore e noi no, noi non facciamo figli perché non ce lo possiamo permettere (noi, coi frigoriferi e i microonde e un computer nella tasca dei jeans connesso all’universo per dieci euro al mese), ogni cerchio si chiude.

Siamo l’epoca più determinata a compatirsi, a dire che nessuno è mai stato peggio, che ah quanto vivevano meglio i nostri nonni senza l’acqua corrente in casa e le bombe in testa, vuoi mettere lo stress dei nostri contratti a tempo determinato, delle liste per gli asili, dei punti fragola che non bastano a comprare la KitchenAid.

«Le famiglie spesso si sentono sole, abbandonate, piegate dalla precarietà, dall’incertezza del mondo del lavoro, dai salari bassi e dall’occupazione che è sempre più discontinua»: praticamente un film di Ken Loach, le classiche condizioni in cui, per consolarsi, si figlia.

E invece no: ogni dato fattuale puoi piegarlo al vittimismo, se non facciamo figli non è perché abbiamo di meglio da fare, è perché siamo meno certi del nostro futuro di quanto lo fossero i nostri nonni in guerra.

Jon Stewart, già più favoloso comico d’America, cinque anni fa s’è scocciato di venire superato dalla realtà e ha mollato il suo programma. Ora ha diretto un film, è su Netflix, s’intitola “Irresistibile” e parla d’una campagna elettorale.

Comincia con una spin doctor che dice ai giornalisti: «Più vi mento, più mi guadagno lo stipendio». Il dramma è quando ci credono davvero.

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