La Grande Occasione per rilanciare un forte profilo riformista e un suo protagonismo il Pd adesso ce l’ha davanti. Ora o mai più si tratta di correre.
Questa Grande Occasione è data dalla opportunità di dirigere l’istruzione della nuova economia del Paese grazie ai grandi finanziamenti che il governo ha portato a casa da Bruxelles grazie alla lungimiranza della Commissione e dei grandi Paesi europei oltre che alla caparbietà di Giuseppe Conte e dei suoi ministri, segnatamente Enzo Amendola e Roberto Gualtieri con il supporto fondamentale di Paolo Gentiloni e David Sassoli.
Spente le luminarie della propaganda, svaniti gli echi degli applausi al premier (gli si passi stavolta la narcisistica passerella in Parlamento), si entra nella fase della impostazione del lavoro e, per fortuna, sembrano già scartate ipotesi di gestione barocca degli interventi (task force, abbiamo già dato).
Sottotraccia sono già partite le grandi manovre. Chi deve gestire il tutto? Il governo? Il Parlamento? La questione presenta profili nuovi perché inedito è il compito, in parole povere, di rifare l’economia italiana. Ma comunque la si giri non c’è dubbio che al governo Conte tocca in sorte la responsabilità pressoché totale dell’immane lavoro da fare.
Non meraviglia la già annunciata competition fra i partiti a chi acquisirà maggiore visibilità: potrebbe perfino essere una “gara” virtuosa; sempre che si eviti il ridicolo, come non ha fatto Luigi Di Maio impancatosi a dare lezioni dopo essere stato totalmente fuori dalla battaglia di Bruxelles.
Il Partito democratico dovrà cercare di essere in grado di candidarsi alla guida della complessa operazione della gestione della fase che ora si apre. Dovrà cioè essere più bravo e più veloce a costruire progetti credibili contando sulla maggiore competenza dei già citati Gualtieri e Amendola e di esperti e alti funzionari dello Stato di sicura affidabilità, meglio se in asse con altre forze riformiste anche esterne alla maggioranza.
Da questo punto di vista, l’idea della componente guidata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini “Base riformista” di mettere il Parlamento al centro della direzione politica della complesso uso dei fondi europei coglie l’esigenza di provare a condividere la politica economica del Paese con l’opposizione: ma è anche chiaro che se quest’ultima si assestasse sui giudizi di Salvini la fatica sarebbe inutile. Così come un pochino velleitaria appare la proposta di Roberto Fico di far votare a un Parlamento spaccato come una mela “atti di indirizzo” condivisi.
Dunque, meglio sarebbe una chiara assunzione di responsabilità da parte del governo e, in seno ad esso, di una “piccola squadra” a trazione chiaramente riformista.
Il Pd sa evidentemente di avere molte più chance dei grillini di interloquire con il mondo del lavoro e quello delle imprese anche perché ha alle spalle una concreta esperienza di riforme: un solo esempio, Industria 4.0, la normativa voluta da Renzi e Calenda che va rimessa in cima all’agenda di governo.
Con tutto il rispetto per la legge elettorale, il Partito democratico dovrebbe già mettere la testa su come procedere alla gestione politica del post-Bruxelles sapendo che su questo si gioca il senso stesso della sua missione politica. Ecco perché nelle prossime settimane e nei prossimi mesi al Nazareno si dovrebbe costruire una vera e propria agenda sulle cose da fare, le riforme da mettere in agenda, i relativi costi. A partire dal Mes, una questione che non può essere lasciata cadere e sulla quale Nicola Zingaretti vorrebbe avere subito un segnale positivo da un premier sin qui troppo ambiguo.
Si ritorna dunque al profilo politico del presidente del Consiglio. Sarà egli in grado di assecondare o addirittura di guidare una nuova fase che chiuda davvero con la cultura gialloverde dell’assistenzialismo e di uno statalismo improvvisato e intrinsecamente populista? Ecco, nei prossimi mesi si vedrà davvero chi è Giuseppe Conte: se un politico abile o uno statista.