Forse non si può ancora aprire lo champagne… (ma dai, sì, esageriamo un po’, non è che il 2020 abbia offerto tante opportunità per un brindisi). In Spagna si sono svolte questa domenica due elezioni regionali molto simboliche nei Paesi Baschi e in Galizia. Capisco che voi italiani, pur essendo esigenti lettori de Linkiesta, sicuramente non sarete molto interessati ai piccoli equilibri della politica spagnola.
Invece da queste remote urne arriva una buona novella, bella quasi come se fosse cantata da De André: forse il populismo sta per finire. Attenti.
Vince la moderazione. Vince il buon senso. I messaggi sono chiari. La Spagna profonda non è ideologica, si annoia con le culture wars e non vuol sentire parlare di estremismi. La Spagna profonda desidera solo un po’ di buon senso, che sia un po’ più di destra o di sinistra. La Spagna profonda è regionalista. E da qui si comincia.
Nella Galizia ha stravinto Alberto Núñez Feijoo, un moderato del Partito popolare che fa guerra al suo partito, che invece vuole correre verso l’estrema destra di Vox. Nei Paesi Baschi hanno vinto i nazionalisti conservatori del PNV, quelli che gestirebbero meglio la Spagna se non fosse per un piccolo dettaglio: non si sentono spagnoli.
Ed è un peccato. La loro politica tranquilla, senza esagerazioni e con buoni risultati economici, sembra l’antidoto perfetto contro ogni sorta di populismo. I socialisti tengono. E Podemos ha avuto dei risultati disastrosi, confermando la sua decadenza politica, morale e immaginativa.
Quindi la Spagna politica comincia ad assomigliare un po’ a com’era prima della rivolta degli indignados del 15 maggio, nel 2011. Vuol dire che il tempo del populismo è finito? Forse sì. Forse no. Vedremo. Ma i segnali che sono arrivati dalle regioni sono stati forti.
Pablo Casado non ha dormito questa notte. Pablo Casado, leader del Partito popolare, ha scoperto di avere un rivale che non si chiama Pedro Sánchez né Alberto Núñez Feijoo, delfino dell’ex primo ministro Mariano Rajoy.
Uno che, in Galizia, ha ottenuto la maggioranza assoluta per la quarta volta di fila e ha preso le distanze dal suo partito ogni volta che prende posizioni sopra le righe. Uno che ha vinto togliendo la sigla del Partito popolare da ogni cartellone elettorale. Uno che chiede accordi con i socialisti e non con l’estrema destra di Vox.
La vittoria schiacciante in Galizia non è del Partito popolare, ma di Feijoo.
Nei Paesi Baschi, il candidato della destra invece era proprio una scelta di Casado, che ha cercato una figura vecchio stile tra i fedelissimi di José Maria Aznar. Convincendo anche i centristi di Ciudadanos, che hanno accettato di allearcisi.
L’assioma vale per tutti i paesi, chiedete a Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy: quando si prova a imitare i toni e i programmi dell’estrema destra, l’originale vince sulla copia.
La regola non ha sbagliato nemmeno in questo weekend: il discorso duro del Partito popolare ha fatto sì che il centrodestra perdesse la metà dei voti, mentre l’estrema destra di Vox è riuscita anche a strappare il suo primo deputato basco. L’unica vittoria populista/sovranista. Ma un deputato su 74 glielo possiamo anche concedere. Non chiudete lo champagne.
De Gaulle vince nei Paesi Baschi. Il Partito Nazionalista Basco ha vinto ancora. Stravinto, si potrebbe dire, migliorando i risultati di quattro anni fa. Il PNV è l’unica forza gollista che ci sia in Spagna e forse non ne è nemmeno consapevole. Conservatori ma non troppo, liberali ma non troppo e molto attenti alle politiche sociali, sono riusciti a creare la regione dove si vive meglio in Spagna, con forti investimenti in sanità ed educazione.
Ad amministrare sono i migliori. E quando le cose vanno bene, chissà perché, nessuno parla di secessione. Il Parlamento basco non è mai stato così nazionalista (53 deputati su 74, contando anche la sinistra nazionalista). E mai così poco secessionista.
È la fine di Podemos. La data di scadenza può variare, ma ormai è chiaro: Podemos è sulla via dell’estinzione politica. In Galizia erano la seconda forza politica con 14 deputati. Ora sono spariti dalla Camera. Nei Paesi Baschi, dove avevano anche vinto le elezioni generali del 2016, hanno dimezzato i rappresentanti. La leva dell’azione di Governo e la visibilità dei suoi cinque ministeri non ha evitato il disastro.
Da tempo riconvertiti in una forza postcomunista e senza l’ambizione trasversale dei primi tempi, solo il populismo vittimista di Iglesias li teneva a galla, ma ora che il leader ha perso buona parte del suo credito politico, sarà molto difficile risollevarsi.
Ho già detto che è la fine di Podemos? Mannaggia, non posso ripetere il quarto punto. Concentriamoci allora sul quinto: la divisione centro-periferia. Madrid ha smesso di capire la Spagna. Le regioni hanno una personalità e uno sguardo politico proprio. Le urne mandano un messaggio chiaro: questo paese non è centralista e non lo sarà mai. Sta alla capitale di capirlo.