Al prossimo giro di elezioni regionali ci sarà un’unica grande certezza. Lo strapotere di Zaia in Veneto. L’ultimo sondaggio di Demopolis attribuisce almeno quaranta punti di vantaggio del presidente uscente sull’avversario più vicino. E in nessun’altra regione, nemmeno in Campania dove ci si attende una vittoria di Vincenzo De Luca, l’esito del voto sembra scontato tanto quanto in Veneto.
Agli avversari, salvo clamorosi ribaltoni, rimarranno le briciole, qualche seggio nel consiglio regionale. «Zaia è un genio della comunicazione, mentre il centrosinistra è ancora colpito dal luogo comune sull’incapacità di parlare alle persone», dice a Linkiesta Elisa La Paglia, consigliera comunale del Partito democratico a Verona, in lista per le regionali parlando di quella che somiglia tanto a una missione impossibile ma che non vuole chiamare tale.
«La nostra debolezza – prosegue – e la sua forza hanno un divario enorme. Però lui è l’uomo degli annunci, della demagogia, se parliamo di concretezza il Veneto è un territorio da valorizzare, perché oggi l’amministrazione non è capace di fare sistema e di far funzionare insieme le fiere, gli aeroporti, i trasporti, le strutture turistiche e il resto».
Fare sistema, fare squadra, è la parola d’ordine dei dem veneti, che si sono presentati con una coalizione che raccoglie quasi tutta la galassia della sinistra, senza troppe distinzioni: non c’è motivo né possibilità di uno scontro fratricida in una sfida contro un avversario così forte come “il Doge”.
Così per sfidare Zaia è stato scelto – non senza discussioni – un nome di una lista civica, come aveva indicato il segretario nazionale del Partito democratico Nicola Zingaretti. Arturo Lorenzoni è il vicesindaco di Padova nell’amministrazione di Sergio Giordani in carica dal 2017, non è iscritto al Partito democratico e si presenterà al voto con la sua lista “Il Veneto che vogliamo”.
«Possiamo fare fronte comune perché i tanti simboli della coalizione hanno un sistema valoriale condiviso. I Verdi saranno più attenti a tematiche ambientali, la lista civica di Simonetta Rubinato è più attenta al tema delle autonomie, “Il Veneto che vogliamo” è più attento alle amministrazioni locali, ma siamo tutti dalla stessa parte», dice a Linkiesta Lorenzoni, toccando i temi attorno a cui ruoteranno queste elezioni.
Lorenzoni è un professore di ingegneria che ha lavorato per 25 anni nella didattica e nella ricerca nei settori di ambiente e energia, e presta grande attenzione alle tematiche ambientaliste: «La lotta ai cambiamenti climatici è uno dei macro argomenti di questa fase storica. Qui una politica attendista è una politica perdente, a livello ambientale ma anche economico, perché vuol dire non accompagnare le aziende in un mercato che sta cambiando. Vale nell’edilizia, nella mobilità sostenibile, nella gestione dei rifiuti. Il rinnovamento delle filiere di produzione non può più essere rimandato».
La candidatura di Lorenzoni sarebbe partita in salita in ogni caso, e l’emergenza coronavirus ha complicato l’equazione dando a Zaia – come a tutti i governatori in carica – un ruolo di primissimo piano.
Un protagonismo che il leghista ha saputo sfruttare a suo vantaggio, come fa notare la consigliera La Paglia: «I tamponi sono stati fatti, in Veneto. Ma il merito è del dottor Crisanti che ha trovato il modo di ottenere reagenti e i macchinari per esaminarli. Solo che Zaia ne rivendica i risultati. E lo fa oscurando Crisanti, che è stato attaccato direttamente dal governatore».
In campagna elettorale si discuterà soprattutto di autonomia. Un tema molto caro al “Doge”, ma in qualche modo trasversale, condiviso da tutte le forze politiche venete: è un argomento anche del centrosinistra.
Lo spiega ancora il candidato Arturo Lorenzoni: «Zaia continua a portarlo nel suo programma elettorale, ma non ha combinato granché, eppure di occasioni ne ha avute, soprattutto quando il suo partito è stato al governo. Ma non è stato fatto nulla. L’autonomia è una priorità per una regione che ha bisogno di correre, va intesa in senso federalista per l’efficienza della pubblica amministrazione, per snellire la burocrazia, per liberare risorse e valorizzare il territorio. Ma non in termini ideologici di “Veneto ai veneti”, che non ha senso in un’ottica nazionale e internazionale».
Resta da capire come contrastare la popolarità del presidente uscente e la monotonia di una campagna elettorale senza competizione reale.
Zaia è stato eletto per la prima volta nel 2010 con il 60 per cento dei voti (35 per cento la Lega), e rieletto cinque anni più tardi andando poco oltre il 50 per cento, doppiando nei voti quella che doveva essere l’astro nascente del centrosinistra Alessandra Moretti (un milione e rotti, contro 500mila).
Prima di lui il centrodestra aveva portato a Palazzo Balbi Giancarlo Galan, candidato di Forza Italia che nel 2005 ha conquistato la sua terza vittoria regionale contro una delle coalizioni di centrosinistra più complete: quella rappresentata da Massimo Carraro e sostenuta da liste civiche, Ulivo, Verdi, Partito comunista, Italia dei valori e tutta la rosa della sinistra.
«Il Veneto – dice Lorenzoni – può avere un’anima dem più forte di quella che abbiamo visto negli ultimi dieci anni, quando il centrosinistra è stato molto frazionato. Ora lavoriamo per ricompattare soprattutto gli elettori, tutte quelle persone che condividono il nostro sistema di valori».
Le persone sentite da Linkiesta non parlano mai apertamente delle possibilità di vittoria, dei numeri e delle percentuali. Elisa La Paglia sa bene che «i sondaggi ci dicono che è improbabile, ma un successo sarebbe anche smascherare le mancanze di questa amministrazione. Io sono candidata perché anche l’opposizione si può far meglio».
Una posizione condivisa anche da chi fa politica attiva sul territorio come Michelangelo Motta, veronese classe 1998, nelle fila dei Giovani democratici, consapevole che «la partita è la più difficile di tutte, ma si deve sempre giocare. Zaia ha una popolarità figlia di un’assenza di alternativa. Noi vogliamo essere quell’alternativa, una voce per chi negli ultimi anni ha vissuto le mancanze di questa regione. Un esempio è il diritto allo studio: solo il 30 per cento dei giovani under-34 è laureato, contro oltre il 40 per cento della media europea. La metà delle regioni italiane ha una media più alta. Quindi c’è materiale su cui lavorare, i margini di miglioramento ci sono. Il problema è un governatore che li sa mascherare o addirittura trasformare in punti di forza con la sua comunicazione».
In particolare a Verona la strategia scelta dal Partito democratico è prendere una distanza dalla politica. Il comune che non elegge un sindaco di sinistra dal 2002, e ancora alle ultime europee la Lega ha sfiorato il 50 per cento.
«La cosa più importante è avere un contatto con il territorio. Nel veronese abbiamo scelto di comporre liste di personalità che sono tutti amministratori. Persone del territorio e possano portare avanti le istanze del territorio, non solo politici. Quindi non interessi partitici», dice Motta.
Quello di Verona è un caso sicuramente particolare, una piazza storicamente orientata a destra. Così come Padova può esserne il contraltare. Il candidato del centrosinistra viene da lì, una città dove «la pluralità di associazioni, gruppi di attivisti e realtà organizzate che con l’amministrazione leghista di Bitonci si sono sentite soffocare da spazi militarizzati, una fiera del libro che era stata eliminata perché definita una manifestazione di sinistra. Padova è stata il centro di molte contestazioni contro la Lega e il centrodestra», spiega a Linkiesta Piero Notarnicola, dell’associazione studentesca Unione degli universitari.
Il caso padovano è a sua volta singolare. Una città universitaria che secondo Notarnicola negli ultimi anni ha sofferto l’indifferenza dell’amministrazione leghista: «Le nostre istituzioni fanno solo il minimo indispensabile. Le soglie per le borse di studio, soprattutto la Iste, sono più basse di altre regioni quindi ci sono meno borsisti che altrove. Inoltre la regione non copre tutte le borse di studio, le università si sono organizzate per coprire quello che la regione non può o non vuole pagare. E poi a Padova negli ultimi anni sono state chiuse mense e almeno tre residenze per studenti».
Nel centrosinistra nessuno si dà davvero per vinto: a tutti i livelli, dalla regione ai consigli comunali, fino a chi fa attivismo nelle città, l’opposizione vede margini di miglioramento nell’amministrazione regionale con la base di consenso più larga di tutte.
Allora la prima necessità è capire il proprio margine di manovra, e come sfruttarlo al massimo per quanto piccolo possa essere. Lorenzoni, ad esempio, non dice mai apertamente di puntare alla vittoria elettorale. Ma non vuole nemmeno fare una politica “contro”. «Il compito che mi è stato assegnato è offrire una prospettiva diversa, un indirizzo di governo di centrosinistra che, consapevole dell’operato di Zaia in questi dieci anni, sia capace di andare oltre».