Pubblichiamo un estratto di “Football. Trattato sulla libertà del calcio“, di Giancristiano Desiderio, edito da Liberilibri.
Un celebre aforisma di Georges Clemenceau recita: “La guerra è cosa troppo seria per lasciarla ai militari”. Si presta benissimo alla parafrasi calcistica: il gioco del calcio è cosa troppo seria per lasciarla ai giocatori, ai presidenti di club, agli arbitri, ai commentatori, ai tifosi, ai fanatici. A chi, allora, andrebbe affidato?
Un tempo non lontano – poco più di cento anni fa – il calcio era un gioco popolare e povero. In pieno Novecento è diventato uno sport mondiale e ricco. Oggi il gioco del pallone è globale, straricco e sofisticato. Gli intellettuali si interrogano sul calcio e si chiedono: cosa c’è di tanto interessante in quel pallone che rotola come la vita da far girare la testa a milioni di sportivi e da far ruotare miliardi di dollari nel mondo?
La risposta più semplice e più vera è, per evocare Vladimir Dimitrijevic, la vita che è proprio un pallone rotondo. Difatti, le interpretazioni sono innumerevoli e il calcio è stato visto, di volta in volta, come una simbologia, una metafora, una metafisica. E’ famosissima la frase di Jean-Paul Sartre: “Il calcio è la metafora della vita”. Come non essere d’accordo?
E, tuttavia, se è vero che il calcio è cosa troppo seria per lasciarla ai giocatori e al gran baraccone del mondo calcistico, è altrettanto vero che non può essere lasciato agli intellettuali. Lo scopo dichiarato di queste pagine è andare oltre il senso della frase del filosofo francese per non vedere il calcio soltanto come una figura o un simbolo e prenderlo, invece, per ciò che è realmente: football, calcio giocato. Se, infatti, facciamo lo sforzo di andare oltre la storia metafisica, retorica e giornalistica del calcio per vederlo proprio in quanto calcio, allora, ci renderemo conto di quanto il gioco del pallone sia per noi ancora più affascinante, interessante, decisivo. Dunque, non ci conviene né lasciarlo ai giocatori come se fosse solo un gioco, né lasciarlo agli intellettuali come se fosse solo una metafora.
Un filosofo italiano, Sergio Givone, ha capovolto la frase di Sartre e, raccontando del celebre mediano della Pro Vercelli, Leone Perotti (il vero nome era Pietro Leone, vinse cinque scudetti), ha detto che in fondo è la vita ad essere la metafora del calcio. Il dribbling del filosofo italiano che scarta con abilità la retorica del filosofo francese si gusta nel romanzo Favola delle cose ultime perché Givone, proprio per amor di filosofia, conduce il pensiero nella vita, oltre la stretta cittadella accademica della disciplina, e, insomma, porta il pensiero in campo giacché ciò che dà da pensare è proprio la vita: come il pane non si fa con il pane ma con la farina, così la filosofia non si fa con la filosofia ma con la vita.
Il motto dell’autore della Storia del nulla, che capovolge la frase del filosofo dell’Essere e il nulla, mi è sembrato sempre abbastanza chiaro: infatti, se la vita umana si lascia comprendere raffigurando il calcio è perché il calcio non è una metafora ma un modello cognitivo. Rispetto a Givone ho cercato di concludere il dribbling andando in porta mostrando che la vita è una metafora calcistica perché il gioco del calcio – football – è un paradigma che ci fa conoscere noi stessi. Il calcio come pensiero e come azione è il movimento del Concetto ossia dell’intelligenza della vita umana che conosce sé stessa attraverso le opere che compie. Il calcio è (anche) conoscenza e proprio per questo motivo, qui, con un breve trattato, si offrono degli elementi di filosofia del football: ossia il calcio giocato è scomposto nei suoi elementi costitutivi per mostrare nel modo più concreto che cosa sia il calcio e perché è così decisivo per la comprensione della condizione umana.
Intendere il calcio non come metafora ma come conoscenza implica che le azioni di gioco vadano prese per ciò che sono realmente e non come figure che rappresentano altro. La storia del calcio come mito o come favola è terminata e lascia il campo alla storia del calcio come azione e come pensiero. E’ vero quel che dice José Mourinho: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Quindi qui si farà ricorso anche ad altri “moduli” o esperienze e, in particolare, alla filosofia. Però, siccome il tentativo è da un lato quello di capire cosa sia il calcio e dall’altro quello di mostrare come la conoscenza calcistica ci faccia comprendere meglio la vita, allora, si farà ricorso al calcio per intendere la filosofia, più di quanto non si farà ricorso alla filosofia per intendere il calcio. Perché, per parafrasare Mourinho, chi sa solo di filosofia, non sa niente di filosofia.
I cinque elementi base del calcio sono: tiro, colpo di testa, dribbling, passaggio, arresto. Però, nel testo a seguire queste “voci”, alle quali se ne potrebbero aggiungere altre – arbitro, allenatore, panchina, spogliatoio – non compaiono. football, infatti, non è né un’enciclopedia, né un manuale ma un trattato o un saggio sul calcio e la sua libertà. Qui si tenta di rispondere a queste domande: cos’è il calcio e perché è importante per la nostra vita?
Una partita di calcio dura novanta minuti e, in casi speciali, si arriva a centoventi minuti con i tempi supplementari. Il trattato è breve e la sua lettura non andrà oltre il tempo di una partita il cui valore non è dato dalla durata ma dall’intensità. La brevitas, forse non sempre rispettata, è cercata per mettere da parte il di più e concentrarsi su ciò che effettivamente conta: la natura del gioco del calcio che si gioca con piedi pensanti.